PROLOGO
Scena Unica
(La scena rappresenta ne' lati montagne di scogli su li quali si vedono giacenti 14 fiumi, che bagnano i regni e le provincie che sono o furono sotto la dominazione della corona di Francia. Nella prospettiva si vede il mare, e nell'aria Cinzia che discende in una gran macchina rappresentante il di lei cielo)
CORO
DI FIUMI
Qual concorso indovino
oggi al mar più vicino
del festoso Parigi
noi raunò dal gemino emisfero,
noi, che del franco impero
vantiamo il nobil giogo, o i bei vestigi?
TEVERE Ah
che mentre la terra di
lunga orrida guerra
già dileguati ammira i fati rei
ne' beati imenei di
Maria di Luigi
adorna Cinzia di più bei candori
noi testimoni elesse di
quei, ch'a spiegar va', gallici onori.
CORO
DI FIUMI A
i di lei veri accenti su
dunque attenti, attenti.
CINZIA Ed
ecco o Gallia invitta i
tuoi pregi più grandi, e immortali
mira del primo ciel ne' puri argenti
come in tempio d'onor lampe lucenti
l'idee delle maggior stirpi reali. Di
queste il ciel con ammirabil cura, e
con stupor del tempo, e di natura,
scettri a scettri innestando, e fregi, a fregi la
prosapia formò de i franchi regi;
che qual fiume di glorie
da' monti di Corone, e fasci alteri
trasse i fonti primieri e
accresciuto ogn'or da copiosi
torrenti di vittorie, e
da' più generosi
rivi di sangue augusto oltre gli Achei
per interrotto, e limpido sentiero
tra margini di palme, e di trofei
inondò trionfante il mondo intero.
Alfin tra l'auree sponde
della Senna guerriera
fissò la reggia in cui benigna infonde
grazie a nembi ogni sfera, e
or più che mai prodigo di
contentezze eteree a
ibera beltà franco valore su
talamo di pace unisce Amore.
CORO
DI FIUMI
Dopo belliche noie oh
che soavi gioie! A
dolcezze sì rare oltre ogni segno Gallia
dilata il cor, non men, ch'il regno.
CINZIA Ma
voi che più tardate inclite idee?
Uscite ad inchinare
Anna la gran reina,
che le bell'alme onde sperar si dee
che la serie divina
de' vostri alti nipoti il ciel confermi
ambo sono di lei rampolli, e germi.
Uscite a festeggiare
ch'in sì degna allegrezza a i vostri balli
nelle cerulee valli
già cede il campo ossequioso il mare, e
poiché qual dopo guerrieri onori
della beltà fu sposo Ercole al fine,
tal dopo mille allori e
nel primo confine di
sua florida etade il re de' Galli, su
queste scene a i lieti Franchi innante
per accrescer diletti
riprenda oggi i coturni Ercole amante, e
veda ogn'un, che desiar non sa un
eroico valore
qui giù premio maggiore
che di godere in pace alta beltà. Ballet
CORO
DI FIUMI Oh
Gallia fortunata
già per tante vittorie, di
pace, e d'imenei l'ultime glorie ti
fanno oltre ogni speme oggi beata. E
a fin ch'a tuoi contenti
gioia ogn'or s'augumenti ecco,
ch'in te si vede
alba di nuove glorie un regio erede;
per splender più di doppio sole ornata oh
Gallia fortunata.
(Le dette Idee discendono sul palco a danzare, quindi rientrate nella medesima macchina, questa si chiude, e le riporta in cielo)
ATTO PRIMO
Scena
Prima
(La scena si cangia ne' lati in boscareccia, e nella prospettiva in un gran paese contiguo alla città d'Ecalia)
ERCOLE
Come si beffa Amor del poter mio! A
me cui cede il mondo
farà contrasto una donzella? (oh dio!)
Come si beffa Amor del poter mio!
Dunque chi tanti mostri
vide esangui trofei di tua fortezza
scempio farà di femminil fierezza, e
trafitto cadrà da un van desio?
Come si beffa Amor del poter mio!
Ah
Cupido io non so già
perché il ciel soffrir ti deggia? Di
Pluton l'orrida reggia un
di te più reo non ha. O
di quele empietà
sacrilego tiranno ogn'or riempi il
credulo mio regno?
Mentre ne' di lui tempi
l'adorate Cottine di
grazia, e di beltà
non celano altro alfine
ch'idoli abominevoli qua sono
interesse, perfidia, orgoglio, e sdegno.
Così avvien per Iole
che l'altar del cor mio
sparga d'alti sospir malgrati i fiumi, e
che vittima infausta io mi consumi. Ah Cupido io non so già...
Scena
Seconda
(Cala dal cielo Venere con le Grazie in una macchina. Venere, Ercole, Coro di grazie)
VENERE Se
ninfa a i pianti di
veri amanti
non mai pieghevole
niega mercé; di
ciò colpevole
amor non è.
CORO Se
ninfa a i pianti di
veri amanti
non mai pieghevole niega
mercé; di
ciò colpevole
amor
non è.
VENERE
Scoglio sì rigido
mostro sì frigido
non regge il mar
ch'amato
al pari non deva amar.
CORO
Scoglio sì rigido
mostro sì frigido
non
regge il mar
ch'amato al pari non deva amar.
VENERE
Ogn'impero ha ribelli
trasgressori ogni legge or
come e questi, e quelli
giusta forza corregge, sì
con soave incanto
(ch'al dominio d'Amore
forza è la più conforme)
superare a tuo pro spero il rigore
che maligna fortuna,
sempre al mio figlio avversa
d'Iole in sen per tuo tormento aduna; e
godrai de' miei detti
oggi al giardin de' fiori i dolci effetti.
ERCOLE O
déa se tanto alle mie brame ottieni
giusto sia ch'io t'accenda
tutte d'Arabia l'odorate selve, e
che tutte a te sveni
dell'Erimanto le zannute belve;
ch'il ciel non può versare de
i contenti d'Amor grazie più care.
VENERE
Vanne al loco, e m'attendi, e fa ch'Iole
pur vi renda pria che manchi il sole,
ch'io dell'armi provvista
onde sua ferità vincer presumo,
preverrò diligente i di lei passi
per dispor quivi pria, ch'ella vi giunga.
Rovente acuto strale,
che per te l'arda, e punga.
Strale invisibile,
ch'inevitabile
tal forza avrà,
ch'all'insensibile
piaga insanabile
imprimerà Su
dunque ogni tristezza
sia dal tuo cor sbandita,
ch'in amor l'allegrezza
come al ciel più gradita
con più felicità le gioie invita.
VENERE,
ERCOLE
Fuggano a vol
dal bell'impero
del nume arciero le
pene, e 'l duol.
CORO E
in lui così
gioie sol piovino, e
si rinnovino
quegli aurei dì.
VENERE,
ERCOLE
Struggasi il gel
d'ogni fierezza
ogni amarezza il
cangi in miel.
CORO E
in lui così
gioie sol piovino, e
si rinnovino
quegli aurei dì.
(La macchina di Venere rimonta al cielo)
ERCOLE
Infelice, e disperato
mentre mestissimo vò
notte, e dì,
qual di bene inaspettato
raggio purissimom'apparì?
ERCOLE,
CORO Ah
che s'acceso un cor
avvien mai che disperi,
non sa come in amor
con sovrano poter fortuna imperi, di
tal nume alla possanza
nulla invincibile
già mai si dà
egli ogn'or con gran baldanza
fin l'impossibileceder fa.
Scena
Terza
(Nel resto de' nuvoli di detta macchina essendo ascosa Giunone, questa si discende assisa in un gran panone)
GIUNONE E
vuol dunque ciprigna,
per far contro di me gl'ultimi sforzi
de' più pungenti oltraggi,
favorir chi le voglie ebbe si intese ad
offendermi ogn'ora,
che ne gli impuri suoi principi ancora
prima d'esser m'offese?
Chi pria di spirar l'aure
spirò desio di danneggiarmi, e dopo
aver dal petto mio
tratti i primi alimenti al viver suo,
con ingrata insolenza
d'uccidermi tentando osò ferirmi? Ah
ch'intesi i disegni ma
non fia ch'a distrarli altri m'insegni. Di
reciproco affetto
ardon Hyllo, e Iole, e
sol per mio dispetto
l'iniqua déa non vuole,
ch'Imeneo li congiunga? anzi procura
per il mio scorno maggiore,
ch'il nodo maritale ond'è ristretto
Ercole a Deidamia alfin si rompa; a
ciò ch'Iolea questi
del di lei genitore empio omicida
con mostruosi amplessi oggi s'innesti. E
con qual'arte oh dio? con arti indegne
d'ogni anima più vil non che divina. Ma
in amor ciò ch'altri fura
più d'Amor gioia non è e
un insipida ventura
ciò ch'egli in dono, o ver pietà non diè. In
amor ciò ch'altri fura
più d'Amor gioia non è.
Se
non vien da grata arsura
volontaria all'altrui fé
cangia affatto di natura
come d'odio condita ogni mercé. Ma
che più con inutili lamenti il
tempo scarso alla difesa io perdo? Su
portatemi o venti
alla grotta del sonno, e d'aure infeste
corteggiato il mio tron versi per tutto
pompe del mio furor fiamme, e tempeste.
(Giunone parte e fa cader dalle nuvole della sua macchina, tempeste e fulmini che formano una danza per fine del primo atto) Ballet
ATTO SECONDO
Scena Prima
(La scena si cangia in un gran cortile del palazzo reale. Hyllo, e Iole)
HYLLO, IOLE
Amor ardor più rari
accesi mai non ha,
che quelli onde del pari le
nostre alme disfà
d’avverso ciel le lampe
contro
di lui si sforzino,
ch’in vece, che l’amorzino,
l’arricchiran di vampe.
IOLE
Pure alfine il rispetto di
figlio al genitor sia che in te cangi sì
amoroso linguaggio.
HYLLO
Che più tosto il tuo affetto
non renda anch’egli al forte Alcide omaggio.
IOLE Ah
che forzar un core
nol puote altri che Amore.
HYLLO E
di rivale il titolo odioso
qualunque altro bel nome,
che concorra con lui, rende ozioso;
una sol vita il genitor mi diede, e
per te, che mia vita
molto più cara sei
mille volte darei.
IOLE E
per te sol mio bene,
all’empio usurpator contenta i’ cedo il
regno, e ‘l mondo tutto, e te sol chiedo.
HYLLO, IOLE
Gare d’affetto ardenti
deh
non cedete a i guai, e
nel goder non vi stancate mai,
che de’ vostri argomenti
nell’uguaglianza
sol tutta si sta
l’amorosa felicità.
Scena
Seconda
(Paggio, Iole, e Hyllo)
PAGGIO
Ercole a dirti invia, ch’altro non bada,
che di saper, se nel giardin de’ fiori di
condurti a diporto oggi t’aggrada.
IOLE
Come si ha, che ciò neghi?
D’un che sovra di me le stelle alzato
son comandi anco i prieghi.
HYLLO
Ahi qual torbido, e amaro
velen presaga gelosia m’appresta, di
cui solo il timor già mi funesta.
IOLE
Non temere Hyllocaro:
che non potrà mai violenzaardita
togliermi a te, senza a me tor la vita.
HYLLO E
quando anche in tal guisa
ogn’un meco ti perda amato bene,
qual miglior sorte avrò, che cangiar pene?
IOLE Da
sì grave timor l’alma disvezza,
che quanto Ercol per me palesa affetto,
tant’ha rispetto, ed io per te fermezza.
(al
Paggio)
Torna, digli, ch’io vado:
Hyllo vien meco.
HYLLO E
quando io non son teco? Se
dovunque il mio piè giri, o la mente
t’adoro ogn’or presente.
Chi può vivere un sol istante
lunge dal bello che l’invaghì,
dica pur, ch’in lui morì
ogni
pregio di vero amante;
d’amore il foco
per ogni poco
ch’intiepidiscasi ghiaccio diviene, e
le di lui catene
più strettamente avvolte
ogni poco, che cedano, son sciolte.
IOLE O
gloria
d’Amor più nobile
con fede immobile
sempr’arder più;
che la vittoria
mancassi tu. Si
sciolgono
qual’or
gl’instabili
rei più dannabili
Amor
non ha. Lo
spoglionodi deità
poiché gli toglionol’eternità.
ScenaTerza
(Paggio)
PAGGIO E
che cosa è quest’amore? Di
cui parlan tanto in corte, e
canzon di mille sorte di
lui cantano a tutt’ore.
Egli è qualche ciurmadore
poi che a quel, che sento dire
(senza punto intender come)
mentre a stille dà il gioire e
il penar dispensa a some,
fassi il mondo adoratore
egli è qualche ciurmadore. Di
vederlo ebbi gran brame ma
poi seppi, ch’è impossibile,
ch’egli sia già mai visibile
perché sempre è con le dame, e
che queste al finger dotte se
lo tengano celato,
come s’ei stesse appiattato
dentro le cimmerie grotte.
Scena Quarta
(Deianira, Licco, Paggio)
LICCO
Buon dì gentil fanciullo?
PAGGIO E
buona notte.
LICCO Ma
dove in tanta fretta?
PAGGIO A
far da gran messaggio.
LICCO
Ascolta un poco, aspetta;
che so qual possa aver faccende un Paggio.
PAGGIO E
che ti fai? ch’Iole ad
Ercole...
LICCO
T’invia.
PAGGIO Sì
affé m’invia...
LICCO A
dirgli.
PAGGIO È
vero a dirgli...
LICCO
Ch’al giardino de’ fiori
ella si renderà com’ei desia.
PAGGIO
Sei tu qualche indovino?
LICCO E
ben famoso,
ch’in simil guisa a me nulla è nascoso.
DEIANIRA Ah
crudo, ah disleale, ah
traditore, ingrato, ah
scelerato, e empio
dell’amor
coniugale
tra noi tanto giurato.
Qui dunque hai scelto il luogo a
farne scempio? Ah
Deianira ogni ristor dispera,
ch’a morir di dolor sei destinata!
PAGGIO
Che? cotesta straniera
anch’essa è innamorata?
LICCO
Così mi dice, ma d’amor ben vero,
come saggio io non credo,
ch’a gli uomini poco, e
alle donne un zero.
PAGGIO
Basta per questa corte ogn’or volare si
vede un sì gran numero d’amori,
che non abbiamo a fare,
che ne vengan di fuori.
Ama Hyllo Ioleriamato, e l’ama
Ercole assai malvisto, ama Nicandro
Licori, e questa Oreste, e Oreste Olinda, e
Olinda, e Celia scaltre
aman le gemme, e l’oro, e
Niso, e Alidoro aman cent’altre.
LICCO E
perché ha in odio IoleErcole?
PAGGIO
Perché uccise Eutyro.
LICCO E
amail figlio poi di chi gli uccise il padre? Ha
la pianta in orrore, e ama il frutto?
Che vuoi giocar ch’io so la
ragion che di ciò
ella in sé covane? Un
d’essi è troppo adulto, e
l’altro è giovane
PAGGIO
Fin da principio Ioleardea per Hyllo
onde per compiacerla le
già date promesse
delle nozze di lei ritolse Eutyro ad
Ercole, ch’al fin si mal soffriro,
ch’una tal dalla figlia opra gradita
all’infelice re costò la vita. E
tu, ch’il tutto fai
non fai, ch’Ercol’ m’attende? e
ch’egli è amante? E
che fra quanti mai
ardono al mondo d’amorosa fiamma
non v’è di pazienza una sol dramma.
Scena
Quinta
(Deianira, Licco)
DEIANIRA
Misera, ohimè, ch’ascolto.
Non so, se più gelosa
esser dea come madre, o come sposa;
che comune è il periglio
alla mia fede coniugale, e
al figlio;
almen con soffrir l’uno
schivar l’altro potessi: oh
dio qual sorte
prefisse iniquo fato a i miei natali:
ch’io soffra a doppio i mali, né
per schivarne alcun basti mia morte. O
presagi funesti:
Ercol’ spirti non ha, se non feroci, e
non ferian già questi i
di lui primi patricidi atroci.
Come mal mi lasciai
strascinar da’ miei guai a
queste eubee contrade,
ove il destin mi fabricò l’inferno:
ora, ahi lassa, discerno
quanto meglio era entro le patrie mura di
Calidonia sospirar piangendo
miei dubbi oltraggi,
che con duol più orrendo
esserne qui sicura.
Ahi ch’amarezza
meschina me è
la certezzadi rotta fé!
Ahi come, ohimè,la gelosia di
furie l’Erebo impoverì. E
l’alma mia ne
riempì.
S’in
amor si raddoppiassero
tutti
i guai, tutti i tormenti, e
ch’in lui solo mancassero
i
sospetti, e i tradimenti
fore Amor tutta dolcezza.
LICCO Ah
fu sempre in amor stolto consiglio il
cercar di sapere
punto di più, che quel basta a godere;
copron l’indiche balze
sotto aspetto villan viscere d’oro; ma
ben contrario affato
l’amoroso terreno
sotto una superficie preziosa
sol cattiva materia ha in sé nascosa.
Onde chi vuole in lui
gir scavando tal’or con mesta prova
più s’inoltra a cercar peggio ritrova;
ben lo dicea, che noi sarem venuti a
incontrar pene, e rischi: ah
che d’Ercole irato
qualche stral ben rotato
parmi lenir, ch’intorno a me già fischi.
DEIANIRA Ah
Licco il cor ti manca,
ohimè, che fia di me
senza il tuo aiuto?
LICCO Ah
Deianira:
dunque, dunque tu temi? Io
non ho già paura.
DEIANIRA E
in tanto tremi.
LICCO Ma
vè; poiché nel mondo
ogni cosa ha misura;
forz’è che l’abbia ancor la mia bravura e
siccome tra quelli,
che se nemico ciel senza danari
chi ha quattro soldi è ricco:
così per bravo io solamente spicco
fra tutti quanti li poltron miei pari.
DEIANIRA
Dunque che far dovrem?
LICCO
N’han già cangiati in
guisa tal questi abiti villani,
che se guardinghi andremo ad
altro non potrà, ch’alla favella
Ercole riconoscente: per tanto
avvertir ne conviene
che qualche beffa, o crocchio
(grazie, ch’alli stranier versa ogni corte)
non c’irriti a parlare, e di tal sorte
farem la guerra all’occhio.
Scena
Sesta
(La scena si cangia nella grotta del Sonno. Pasithea, il Sonno, Coro d’Aure e Ruscelli)
PASITHEA
Mormorateo fiumicelli,
sussurrateo ventricelli, e
col vostro susurro, e mormorio
dolci incanti dell’oblio,
ch’ogni cura fugar ponno
lusingate
al sonno il Sonno.
Chi da ver ama
vieppiù il diletto
del caro oggetto
che ‘l proprio brama,
quind’è ch’io posi la
notte, e ‘l die le
contentezze mie
del consorte gentil ne’ bei riposi.
CORO
Dormi, dormi, o Sonno dormi
fra le braccia a Pasithea
ninfa aver non ti potea
più d’affetti a tuoi confronti:
dormi, dormi o Sonno dormi.
Dormi, dormi o Sonno dormi
sovra a te gli amori istessi
lente movano le piume; e
al tuo cor placido nume,
gelosia mai non appressi
de’ suoi rei sospetti i stormi
dormi, dormi o Sonno dormi.
Scena
Settima
(Cala Giunone dal cielo. Giunone, Pasithea, il Sonno, Coro d’Aure e Ruscelli)
PASITHEA O
déa sublime déa, e
qual nuovo desio a
quest’umile albergo oggi ti mena?
GIUNONE
Zelo dell’onor mio e
della fede altrui a
me già sacra, e da sacrarsi, a cui e
frodi, e violenzealtri prepara,
onde per fare a ciò schermo innocente
sol per una breve ora di
condur meco il Sonno uopo mi fora.
PASITHEA
Ohimè di nuovo esporre di
Giove all’ire ogni mio ben vorrai?
No, ciò non sia più mai.
GIUNONE
Non temer Pasithea,
che solo è mio pensiero di
valermi di lui con men che numi di
già soggetti al di lui pigro impero.
PASITHEA E
di ciò m’assicuri?
GIUNONE
S’ancor vuoi che te ‘l giuri su
‘l germano di lui lo stigio Lete.
PASITHEA
Basta Giuno: quiete
son già le mie voglie al tuo desir sovrano.
GIUNONE
Porgilo dunque a me, diva, pian piano...
(Giunone prende nel suo carro il Sonno e parte)
GIUNONE
Dell’amorose pene
sospirato ristoro,
vital dolce tesoro,
ch’il mondo più che Cerere mantiene
dal neghittoso speco
soffri di venir meco,
ch’Amore oggi dispone
contro l’empia insolenza di
straniera potenza
della sua libertà fatti campione.
TUTTI
Le
rugiade più preziose
tuoi papaveri ogn’or bagnino, e
per tutto gigli, e rose
co’ lor aliti t’accompagnino.
PASITHEA
Vanne, e fa breve dimora,
che s’il tuo tardar noioso ad
ogn’un tanto è penoso,
che sarà per chi t’adora? E
Amore ha ben la gloria di
saper nel Sonno ancora
tener desta la memoria.
TUTTI
Le
rugiade più preziose
tuoi papaveri ogn’or bagnino, e
per tutto gigli, e rose
co’ lor aliti t’accompagnino.
(Li Sogni giacenti per la grotta formano sognando la 3ª. danza per fine del 2º. atto)
ATTO TERZO
Scena Prima
(Si cangia la scena in un giardino d’Ecalia, e Venere caladal cielo a terra, in una nuvola, che sparisce. Venere, Ercole)
VENERE
Sol s’inarcan gli emisferi per stupor
che trovar l’inferno io speri
più cortese oggi, ch’Amor, ma
per me fin dalla cuna fu
geloso ei del suo imper, e
vi soffre di fortuna il
tirannico voler,
che timor non gli arreca,
compagnia nel regnar pur che sia cieca.
ERCOLE E
per me cangi o déale delizie del ciel
con questo suoloed’or perché non manda la
palude Lerneàe la
selva Nemeànov’idre,
altri leoni afar qui meco
gloriosi contrasti,
onde a te formi o
déa grati olocausti.
VENERE
Pur ch’io giunga a cangiar nel crudo seno
d’Iole il core, e te lo renda amante ne
trarrò tal piacere,
che sia d’ogni opra mia premio bastante,
mira quest’è la verga onde fa Circe
magiche maraviglie; al
di cui moto ubbidienti ancelle
per patto inalterabile son tutte
de’ lidi Acherontei l’anime felle or
in virtù di sì potente stelo
dove tocco la terra
nascerà seggio erboso in cui riposte, da
spiriti lascivi a ciò costretti le
mandragore oscene di
pallido color la Lidia pietra e
d’amorose rondinelle i cori
faran ch’Ioleallor, ch’in lui s’affida
cangi per te il suo sdegno in
dolci amori.
ERCOLE
Diva ad opre sì rare
insolito tremor tutto mi scuote, e
poi ch’esser non puote
timor (da me non conosciuto ancora)
forz’èche sia per inspirar superno; di
futuro gioir presagio interno. Ma
pur nel pensier mio sceman di pregio
quelli, ch’a me prometti sospirati diletti,
qual’or lasso m’avveggio
ch’a far miei dì giocondi
tratte non sian tal gioie
dal mar d’amor, ma da gli stigij fondi.
VENERE
Odi questa canzon
pur che tu goda
ch’importa a te?
Che sia per froda o
per mercé?
Pur che tu goda
ch’importa a te?
Ch’altro è l’amare?
Ch’un guerreggiare,
ove in trionfo egual lieti sen vanno il
valor’, e l’inganno;
infelice non sai?
Che nel gran regno del mio figlio arciero
non v’è (tolto il penar) nulla di vero.
Prendi il crin, che fortuna
per mia man t’offre in dono.
Torbido rivo ancora
spegne sete infinita, e
per languida inedia un che si mora
non sceglie i cibi a sostenersi in vita: ma
mentre a te giusta ragion m’invola se
d’altro uopo ti sia
Mercurio invierò, che ratto vola.
VENERE,
ERCOLE E
perché Amor non fa,
ch’all’amorosa schiera
sol delle gioie sue sia dispensiera o
ragione, o pietà? E
perché crudeltà
perché il rigor, in
guardia ogn’or le avrà?
Dunque per involarle ogn’arte ancor
lecita altrui sarà.
D’un ardente desio giungerà ‘l segno
sì, sì, gioco è d’ingegno.
Scena
Seconda
(Ercole, Paggio)
ERCOLE
Amor contar ben puoi
fra tuoi non minor vanti
che dell’ardir, che torre a me non seppe
co’ latrati di Cerbero, e orrendi
strepiti suoi lo spaventoso abisso; tu
disarmato m’hai, sì ch’io, che colsi ad
onta del terribile custode,
con intrepida man l’Esperie frutta,
quasi di sostenere or non ardisco
l’avvicinar del bel per cui languisco. O
quale instillano in
arso petto
rai, che sfavillano di
gran beltà,
umil rispetto,bassa umiltà: il
ciel ben sa a
sì suprema
adorabil maestà,
s’ei pur non trema?
PAGGIO
Sarà com’hai disposto
Iolequi ben tosto.
ERCOLE E
dove la trovasti?
PAGGIO
Nel cortil regio a favellar d’amore.
ERCOLE A
favellar d’amor? con chi? deh dillo,
dell’amor mio?
PAGGIO
Dell’amor suo con Hyllo.
ERCOLE
Come? Dunque il mio figlio
mio rivale divenne? A
tal temerità sarebbe ei giunto? Tu
non hai ben compreso
semplicetto garzone.
PAGGIO
Eccoli appunto.
Scena
Terza
(Ercole, Iole, Hyllo, Coro di Damigelle, e Paggio)
ERCOLE
Bella Iole, e quando mai
sentirai di
me pietà?
Chi la chiede al tuo rigore ha
valore
per domare ogn’impietà ma
non fia, che teco impieghi se
non prieghi e
mesti lai;
bell’Iole, e quando mai?
IOLE
Quando il mio cor capace
fosse d’un lieve amor per chi m’uccise il
genitor diletto
aver per me dovresti
orrore, e non affetto.
ERCOLE Ah
bella Iole a
sì gran crine, e di sì gran castigo
degno, qual per me fora
l’impossibilità dell’amor tuo:
imputar mi vorrai
una prova fatale, e
un impulso senza freno, oh dio,
dell’infinito ardor, dell’amor mio?
Quand’il tonante istesso
negarmi con Eutyro,
avesse ardito un ben sì desiato, e
a me promesso,
come già contro il sole, e
‘l dio triforme
stato non fora contra lui men parco di
strali avvelenati il mio grand’arco.
IOLE Io
sola fui cagion,
che il re mio padre
rompesse a te la data fede.
ERCOLE Ah
come a
ciò tu l’inducesti?
Dunque tu l’uccidesti.
Che d’un mal, che si feo,
chi la causa ne diè, quegli n’è reo. Ma
pon bella in oblio sì
funeste memorie, e sì noiose, e
qui meco t’affidi,
poiché depost’anch’io
l’innata mia ferocia, anzi cangiata in
conocchia la clava
ravisar ti farò, che quale ogn’altra
tua più devota ancella
non mai prenderò a vile di
renderti ogni ossequio il più servile.
(Iole si siede sulla poltrona infestata ed
Hercules continua il suo discorso parlando
al
titano Atlas. Iole inizia a sentire gli effetti
dell'incantesimo)
qua gira gli occhi Atlante e
per somma beltàmira quel,
ch’oggi faErcole amante: ma
non ne rider già
che se tale è il voler
del pargoletto arcier.
Sol per voler d’Amore,
chi in ciel Etho frenò
armenti ancor guidò
nume, e pastore: e
non ne riser no
gl’altri déi, ch’il mirar,
che fan ben ch’in amar:
tutte son opre gloriose, e belle
tanto il filar, che sostener le stelle.
IOLE Ma
qual? ma come io sento
spuntare entro il mio petto
per te improvviso, e involontario affetto
onde forz’è ch’io t’ami e
ch’amor mio ti chiami.
HYLLO
Ohimè, ch’ascolto! E
non sogno? e son desto? e
non già stolto?
Così cangiasi Iole?
Fragil feminea fede;
ben merta i tradimenti un, che ti crede.
ERCOLE
Hyllo, di che ti offendi?
Che senso ha tal linguaggio?
(Non mal l’intese il Paggio)
ami tu dunque Iole?
HYLLO Io
per un’empia
ingrata al padre, al mondo, al ciel spergiura,
che soffrissi nel cuor d’amor l’arsura?
Per una sì mutabile, ch’a un tratto
con subito contento
alla mia genitrice, a Deianira
tecò a far sì gran torto (ohimè) cospira?
Versi pria sul mio capo irato Giove
tutti i fulmini suoi, e
il più negro baratto m’ingoi.
IOLE O
me infelice, o misera, che fei?
Uccidetemi, oh déi.
ERCOLE
Fin’ora a te d’Eutyro ne
men di Deianira unqua non calse.
Parti, e ringrazia il ciel; che ben ti valse,
che d’esser mite oggi disposi.
HYLLO
Adio:
andrò morte a cercar per quelle balze.
Scena
Quarta
(Ercole, Iole, Paggio)
ERCOLE E
tu a che pensi Iole?
IOLE
All’error mio, se
ben ciò che mia lingua
disse pur dianzi ah no,
non lo diss’io. E
l’alma forsennatta,
nel frenetico errore
altra parte non ebbe
che di gran pentimento alto dolore.
ERCOLE
Deh non volere, o bella,
far con tai sentimenti
d’Hyllo più grave il fallo, e
le giuste ire mie tanto più ardenti; di
nuovo qui meco t’affidi, e pensa,
pensa meglio al tuo dire,
ch’or con rigide voglie, or con infide,
troppo è tentar di sofferenza Alcide.
IOLE
(sottoposto ad incantesimo)
Ah
chi sì tosto invola
all’attonita mente
l’impression più care? e del mio seno la
più tenera parte
per te di strano affetto
con recidiva d’incostanza imprime?
Chi l’avverso mio cor suolge ad
amarte? Ah
che tra miei pensieri
più non ne trovo alcuno
ch’idolatra non sia de’ tuoi desiri, ah
che non spiro più che i tuoi respiri.
ERCOLE E
pur potranno in breve
dell’instabil tuo spirto le
solite vicende
ricangiar tanto amore in
più crudo rigore.
IOLE
Ciò non temer, che sono sì
fortemente rannodati, e stretti i
lacci ond’è di nuovo
per te quest’alma avvolta,
che più come scamparne ella non vede,
chiedi qual pegno vuoi della mia fede.
ERCOLE
Dunque su di tua mano
per fermezza amorosa
quello porgimi sol d’esser mia sposa.
IOLE
Nol rifiuto, ma lascia,
ch’in segrete preghiere
del genitore all’oltraggiato spirto
per addolcirlo in quel che guisa almeno
prima, ch’affatto a te mi doni in preda, io
licenza ne chieda.
ERCOLE
Pur che ciò sia sol cerimonia al vento
sì, sì, ne son contento.
Scena
Quinta
(Torna ad apparir in aria Giunone nel suo carro col Sonno)
GIUNONE
Sonno potente nume fu
qui pur opportuno il nostro arrivo;
dunque poiché tu sei
dell’innocenza amico, e
de’ misfatti rei cotanto schivo,
che da loro fuggendo
d’inesorabil vol sazi tue piume,
co’ più forti legami,
che mai tua fredda suora a te prestasse
impedisci pietoso al par, che giusto
oggi un crime il più nero,
che contro amor la frode unqua tentasse, e
con la verga a cui fu facil prova le
sempre deste lucitutte velare ad Argo
vanno veloce, e in Ercole produci un
più cieco letargo.
IOLE E
quale inaspettatosonno prodigioso
prevenendo Imeneo lega il mio sposo?
GIUNONE
Iole, Iole, ah sorgi
sorgi rapida, e fuggi, e t’allontana
dall’incantato seggio, e a me t’appressa
che di ben tosto risanarti e d’uopo
dal magico veleno,
ond’hai l’anima oppressa:
prendi, fiuta quest’erba,
che ne gli orti filliridi raccolsi, il
cui medico odore,
che le malie dilegua, ti
sanerà ad un tratto
dalle tartaree infezioni il core.
IOLE O
diva, o déa, da quali
orridi precipizi
d’infedeltà, d’iniquità risorgo?
Ohimè! di quali errori
rea, quantunque innocente ora mi scorgo!
Pure il mio primo, e sol gradito fuoco,
ch’in me pareva estinto
mentre il cor mi ralluma,
con usura di fiamme
più che mai mi consuma. Ma
che pro? s’Hyllo intanto
l’unico mio tesoro
senza mia colpa a ragion meco irato, a
ragion da me fugge, e a torto io moro.
GIUNONE Ah
perché perdi Iole in
superflue querele
tempo sì prezioso, Hyllonon lunge
per mio consiglio in un cespuglio ascoso
tutto guata, e ascolta.
Arma più tostoarma figlia la mano di
questo acuto acciaro,
(ch’abile a penetrare ogni riparo
per me temprò Vulcano) e
mentre imprigionato da
i legami del Sonno i più tenaci
sta quel mostro sì crudo
d’ogni difesa ignudo,
vanne, e vendica ardita
con la morte di lui le
mie offese, e i tuoi danni,
ch’altro scampo non ha d’Hyllo la vita.
Vanne, e poiché spedita al ciel’io torno
ad’ovviare in ciò l’ire di Giove fa
ch’io vi giunga il crin di lauri adorno.
Scena
Sesta
(Iole, Hyllo, Ercole che dorme, Paggio)
IOLE
D’Eutyro anima grande a
questo core, a questo braccio imbelle
tanto furor, tanto vigor compatti
che possa or qui sacrarti,
con insigne vendetta
(universal di cui desio rimbomba)
vittima sì dovuta alla tua tomba.
Prendi o mio genitor dall’arso lido di
Flegetonte, il sangue di
quest’empio tiranno,
che nel tuo nome uccido.
HYLLO
Ohimè, che fai?Cessa.
IOLE
Deh lascia.
HYLLO Ah
cessa.
IOLE
Lascia se m’ami.
HYLLO Ah
che del pari io sono
tuo vero amante, e di lui figlio.
IOLE Ah
senti: io
non l’odio già più come uccisore
del caro padre mio (senti che dico)
che come avverso al comun nostro ardore
onde più che padre egli è nemico.
HYLLO Lo
placherò, quando non basti il pianto,
con la mia morte.
(Hyllo strappa il pugnale a Iole
e lo brandisce con decisione)
IOLE E
sì poco è gradita la
speme a te d’esser mio sposo (oh dio)
che per essa non pregipunto di più la vita?
Scena
Settima
(Mercurio d’un volo risveglia Ercole e parte. Mercurio, Hyllo, Iole, Ercole, Paggio)
MERCURIO
Svegliati Alcide, e mira.
ERCOLE E
dove, o bella?
Dove? ah qui pur di nuovo
temerario importuno io ti ritrovo? Ed
a qual fine impugniferro micidial?
per tor la vita a
chi s’ingiustamente a te la diede? Ah
se cotanto eccede
tuo scellerato ardir, giust’è la voglia,
che quel viver ingrato,
ch’a torto a te fu dato
ora a ragione io toglia.
IOLE
Ohimè, s’amore
nulla in te puote, arresta.
HYLLO Ah
genitore.
ERCOLE E
con sì dolce nome ancor mi chiami?
HYLLO
Non creder già, ch’io più di viver brami
che per mia miglior sorte
non so più desiar altro, che morte, ma
sol di parricida
l’ingiusto infame titolo rifiuto, e
s’ebbi di ciò solo un pensiero
sovra l’anima mia,
qual’or sciolta ella sia,
ogni martir più fiero,
che chiuda Averno in sé, grandini Pluto.
IOLE
Alcide, ah ch’io fui quella
per vendicar Eutyro, e
per sottrarmi alle tue insidie, io quella,
che sola di trafiggerti tentai.
Quindi è, che s’Hyllouccidi,
com’essend’io sola cagion, ch’ei mora, di
me stessa farò giustizia, e or’ora
morta qui mi vedrai.
Scena
Ottava
(Deianira, Licco, Ercole, Iole, Hyllo, Paggio)
DEIANIRA Ah
che scorgo? il mio figlio
post’è in grave periglio?
Fors’è ben, che io mi scopra.
LICCO Il
ciel ti guardida cotanta follia,
che quando ancor
(com’è suo stil) per gioco
Ercol l’ammazzi un poco, tu
ne puoi far de gli altri; ma
se n’uccide noi ha molto peggio,
che poi chi ne resusciti, nol veggio.
ERCOLE
Più di salvarlo tenti
più l’accusi, e tu menti, ma
ch’al tuo crime, o pure a
mie gelose cure il
tuo morir s’ascriva
soffrir più non saprei, no che tu viva.
DEIANIRA Ah
barbaro di fé, di pietà avaro.
Non basta avermi l’amor tuo ritolto,
ch’ancor toglier mi vuoi pegno sì caro;
fa’ pur tua sposa Iole,
abbandonami pure a ogni martoro, ma
per solo ristorolasciami la mia prole.
Innocente che sia,
chi propizio gli fia, se ingiusto è il padre? E
quand’anche sia rea, concedi il vanto
d’impetrarli perdono
d’una misera madre al largo pianto.
ERCOLE In
mal punto giungesti e
chi qua ti portò?
LICCO
Non fu già Licco;
chi m’insegna una tana?
Che quand’anche ella fosse,
d’un gran lupo affamato io mi ci ficco.
ERCOLE
Ambo morrete, e fra tant’altre prove
che fer di me già sì famoso il grido
dicasi ancor, ch’altri duo mostri uccisi
una moglie gelosa, e un figlio infido.
DEIANIRA Ah
crudo.
IOLE Ah
senti pria: s’alcuna speme
ch’io pieghi all’amor tuo, restar ti puote,
solo al viver di lui questa s’attiene;
s’ei mor, sia, ch’ogni speme
anco a te perduta, e s’egli vive, spera.
LICCO
Ora ch’il crederia: quel grand’invitto
domator de’ Giganti,
che i diavoli stessi ha trionfato
eccolo tra due femmine intrigato!
ERCOLE E
s’egli vive spera? ogni possanza
sovra l’anime amanti ha
la speranza.
(a Deianira)
Vanne tu dunque, e torna al patrio nido,
(a Hyllo)
e
tu va’ prigioniero
nella torre del mar, ch’altro riparo
sicuro aver non può mia gelosia, e
con Ioleintanto io vedrò chiaro
del mio sperar, del viver tuo che fia?
Scena
Nona
(Deianira, Hyllo)
DEIANIRA
Figlio tu prigioniero?
HYLLO
Madre tu discacciata?
DEIANIRA E
vive in sen di padre un
cor sì fiero?
HYLLO Ed
in cor di marito
alma sì ingrata.
DEIANIRA
Figlio tu prigioniero?
HYLLO
Madre tu discacciata?
DEIANIRA
Non fosse a te crudele, e
gli perdonerei l’infedeltà.
HYLLO
Non fosse a te infedele, e
lieve troverei sua crudeltà.
DEIANIRA,
HYLLO
S’a te pietà non spero
ogni sorte a me sia sempre spietata.
DEIANIRA
Figlio tu prigioniero?
HYLLO
Madre tu discacciata?
DEIANIRA
Figlio...
HYLLO
Madre...
DEIANIRA,
HYLLO
Ogn’or desti a
me dell’amor tuo segni più espressi, ah
voglia il ciel, che questi
non sian gli ultimi amplessi.
Scena
Decima
(Licco, Paggio)
LICCO
Adio, Paggio.
PAGGIO A
dio, tutti.
LICCO A’
rivederci;
che della donna a cui Ercol presume di
far sì facilmente cangiar clima,
non fu mai suo costume
d’obbedir alla prima.
PAGGIO Oh
che gran cose ho viste! ancor l’orrore
tutto mi raccapriccia.
LICCO Ed
è sol mastro Amore,
che si fatti bitumi oggi impiastriccia, ma
contro un sì pestifero bigatto
senti gentil garzone
impara una canzone.
LICCO,
PAGGIO
Amor, chi ha senno in sé, va
già d’accordo,
ch’il più contento è in te
chi è il più balordo.
Ogni dolce, che puoi dare e
d’assenzio altro sciroppo e
le tue gioie più rare o
son false, o costan troppo: e
così in simil frode
lieto è più chi men vede, e crede, e gode.
(La sedia incantata sparisce, e gli Spiriti ch’erano costretti in essa, entrano nelle statue del giardino, e animandole formano la 4ª danza per fine dell’atto terzo)
ATTO QUARTO
Scena Prima
(La scena si cangia
in un mare sui liti
del quale sono
molte torri, ed in una di
esse
Hylloprigioniero.
HYLLO
Ahi che pena è gelosia ad
un’alma innamorata
ch’a i sospetti abbandonata
teme ogn’or sorte più ria. Ad
Alcide allor ch’Iole
crudelmente in ver me pia, di
sperar alfin concesse; io
credei, che m’uccidesse.
Solo il suon di tai parole, ma
il morir manco duol fia.
HYLLO Ma
che veggio?
ecco un messo,
che viene a dritta voga, è
il Paggio? è desso.
Scena
Seconda
(Apparisce nel detto mare il Paggio in una barchetta. Paggio, Hyllo)
PAGGIO
Zefiri che gite
da’ vicini fiori
involando odori e
qua poi fuggite;
fate alla mia prora
ch’oggi il mar si spiani,
voi pur cortigiani
siete dell’aurora.
Noto è a voi Cupido
che d’ognu’un fa giuoco, e
per l’altrui fuoco or
me trae dal lido. A
voi pur convenne
far l’ufficio mio,
così avessi anch’io
come voi le penne.
HYLLO
Che novella m’arrechi? è buona, o rea? Ma
che parlo infelice?
Sperar più verun bene a me non lice.
PAGGIO
Iolealfin astretta di
maritarsi al furibondo Alcide
con questo foglio a te mi spinse in fretta.
HYLLO
Porgilo dunque;
(legge il biglietto)
«Alla
tua fé tradita,
chiedo giusto perdono,
se
per serbarti in vita
ad
Ercole mi dono.»
Che per serbarmi in vita? Oh
cieco errore.
Ah, che per me sia morte peggiore.
Torna veloce, oh dio,
torna veloce, e dille,
ch’essendo essa fedele all’amor mio, se
morrò, sì contento
scenderà questo spirto al basso mondo,
ch’in alcun tempo mai
non ne vider gli elisei un più giocondo. Ma
che, s’altrui si dona, o il duol atroce di
sì perfida sorte, o
la mia destra mi darà in tal punto
una sì amara e sconsolata morte,
ch’affannosa, e dolente
quest’alma in approdar le stigie arene
infin quivi parrà mostro di pene.
Dille, che s’ella almeno
per costanza d’amor sarisà pur mia
non farà di me strage altri ch’Alcide, ma
che s’ella mi lascia, ella m’uccide.
Saprai tu ben ridir queste querele?
PAGGIO
Pur ch’il mar infedele
non mi vieti il ritorno, e di già parmi
che ben voglia agitarmi: o numi algosi
correte al mio soccorso.
(Si muove la tempesta in mare)
Scena
Terza
(Hyllo)
HYLLO E
non si trova
fra gl’armenti squamosi un
cor benché gelato,
che qual già d’Arione di
quel meschin garzone
senta qualche pietade, e salvi insieme
gl’ultimi avanzi in lui d’ogni mia speme
ohimè, ch’il mar con cento fauci, e cento
tutte rabbia spumanti
non par ch’ad altro furioso aneli
ch’a divorar quel poverello. Ah date a
sì mortal periglio
pronto soccorso o cieli;
ohimè, che più tardate?
(Il Paggio si sommerge)
HYLLO Ah
che quella voragine l’ingoia,
dunque forz’è, che disperato io moia: e
chi sia più che vieti
alla mia bella d’eseguire i suoi
mal’accorti decreti? A
che più penso?
Che più tardo a finire
con un breve morire un duolo immenso?
Cerulei umidi numi,
ricevete propizi un sventurato,
che dal ciel, dalla terra, e da gl’abissi,
sempre a gara oltraggiato
viene a cercar tra le vostre acque in sorte
per gran favor la morte.
Hyllo, su al mar t’avventa;
che temi, orche, e balene? O
pur di’! Ti
spaventa
l’imagin del morir squallida, e tetra;
chi fugge gelosia nulla l’arretra:
su, su, dunque a morir, che ‘l chiaro nome
dell’amato mio sole
indorar mi potrà l’ombre più dense
del Tartaro profondo: Iole, Iole.
(Hyllosi precipita in mare)
Scena
Quarta
(Apparisce nell’aria Giunone, in un gran trono e cala in soccorso di Hyllo. Giunone, Nettuno, Hyllo)
GIUNONE
Salva, Nettuno, ah salva
quel troppo ardito giovine, e sovvienti,
che t’acquistò non favorevol grido il
negato soccorso
all’amoroso nuotator d’Abido.
Salvalo, o dio triforme,
che d’Ercole comun nostro nemico
all’alma inviperita
far non si può da noi più grande oltraggio
che di salvare il di lui figlio in vita;
poi che l’iniquo padre,
che qual rival geloso la
morte sol di quel meschino agogna,
vedendolo da noi ridotto inteso,
doppia ne ritrarrà smania, e vergogna. Ah
tu non m’odi? o vi repugni? adunque? In
quest’onde ver me già sì cortesi
quell’antica bontà del tutto è spenta?
(Sorge dal mar Nettuno in una gran conchiglia tirata da cavalli marini, e in essa si vede Hyllosalvato)
NETTUNO
Eccoti, o déa contenta;
che nulla al tuo voler negar poss’io; né
fu mia negligenza ma
ben sua renitenza il tardar mio; né
credo unqua più avvenne,
che dall’orribil gola
della vorace, e non mai sazia Dite:
fosser ritorti a forza
contro la lor voglia i miseri mortali
come or succede in questo, o forsennato, e
chi rende al tuo gusto di
sì amabil sapor l’estremo fato?
HYLLO
D’un amor disperato
alla tantalea sete il
nettare più grato è
sol l’onda di Lete.
NETTUNO Oh
semplicetto ascolta,
ciò, che per suo diletto,
cantò Glauco talvolta:
Amanti che tra pene
ogn’or gridate ohimè:
perché bramate di morir, perché? Ah
non negate mai fede alla spene.
Per chi vive il ciel gira, e
non sempre un sospira,
anzi lieto è tal’or chi mesto fu, ma
per chi more il ciel non gira più. O
stolti, ov’è il ristoro
nel morir poi? dov’è? E
che val più di vostra vita, e che? Ah
non si può dar mai più gran tesoro. E
sian pur buone o felle
stile al par cangian le stelle
né
può sempre il destin gire all’in giù ma
per chi muore?
GIUNONE
Saggiamente a te parla,
Hyllo, quel nume.
NETTUNO
Vanne veloce, e la gran diva inchina a
dio forma reina.
(Hylloentra nella macchina di Giunone, e Nettuno s’attuffa nel mare)
Scena
Quinta
(Giunone, Hyllo, Coro di Zefiri, che danzano, e suonano)
GIUNONE
Dunque del mio potere
diffiderai tu solo?
HYLLO
Diva a che viver più
chi vive al duolo? Ma
pure ossequioso ti
chieggio umil perdono,
che quantunque penoso,
grato il viver mi sia poiché tuo dono.
GIUNONE
Non lice a voi mortali
del destin preveder gl’alti decreti
quanto più strani tanto più segreti.
Quindi è che nel mirare
de’ futuri nascosti i
preludi talvolta al fine opposti;
spesso ciechi lasciate
con i vostri giudizi infermi, e monchi,
che d’ignote venture
disperata ignoranza il fil vi tronchi. Ma
se a scorger giungeste in
quegli inesplicabili volumi
scritti in zaffiri a lettere di stelle:
sovente ammirereste
esser in lor prefisso,
ch’inaridisca a lente pioggie un prato e
lo renda fecondo di
Sirio, e d’aquilon l’arido fiato;
che cresti in picciol stagno
d’un Giasone, e
d’un Tisi il legno absorto,
ch’a i naufragi conduca aura tranquilla, e
avversa tempesta al lieto porto.
Vanne dunque, e pur spera, e non t’annoi il
dar più fede a me, ch’ai sensi tuoi.
HYLLO
Diva dovunque io sia
non so se posi in cielo, o in terra il piede,
così di tue fortune
pur’incerta sen va l’anima mia.
Concertato
HYLLO Sol gl’amor regnino da
quali spieghisi
onesto ardor, e
i cieli sdegnino
ch’in altro impieghisi il
lor favor:
desir che seguino
affetti ignobili
stian sempre in duol, e
si dileguino
dell’alme nobili
qual nebbia al sol.
GIUNONE
Congedo a gl’orridi
suoi flutti altissimi
poi ch’il mar diè,
zefiri floridi su
festosissimi
volate a me, e
in danza lepida da
voi si venerela mia virtù,
che sempre intrepida
contro di Venerevittrice fu.
Scendono sul palco Hylloe Giunone e poi questa parte e rimonta al cielo nella sua macchina, nella quale i Zefiri invitati da essa formano la 5ª danza)
Scena
Sesta
(Si cangia la scena in un giardin di cipressi pieno di sepolcri reali. Deianira, Licco)
DEIANIRA E
a che peggio i fati ahi mi serbaro? Ah
che ben mi guidato
gl’addolorati miei languidi passi a
trovare in alcun di questi sassi
come far sazio il mio destino avaro. E
a che peggio i fati ahi mi serbaro?
Alfin perduto ho il figlio e
già vicina è l’ora,
che dona ad altra sposa il mio consorte, né
perciò avvien ch’io mora?
Armi non ha da uccidermi la morte,
già che tanti dolor non mi sbranaro; e
a che peggio i fati ahi mi serbaro?
Prendi Licco fedele
questi de’ miei tesor poveri avanzi
per passar meno incomodi i tuoi giorni, e
rimira se puoi, un
dì questi sepolcri aprirmi in cui
d’ogni speranza di conforto ignuda
per non mirar più il sol mi colchi, e chiuda.
LICCO Ah
Deianira io non son tanto accorto
che possa in sì gran carichi servirti di
tesoriere insieme, e beccamorto: né
so s’abbi pensato,
ch’esser preso così quindi io potrei
per omicida, e ladro, e
con solennità condotto al posto di
sublime appiccato,
onde fora tra noi sorte ben varia, tu
morresti sotterra, ed io nell’aria,
deh scaccia o Deianira,
desio sì forsennato,
che di quanti nell’urna abbia Pandora e
disastri, e ruine, e pene, e danni, e
dolori, e affanni, e
angoscie, e crepacuori io ti so dire,
ch’il peggior mal di tutti è di morire. Ma
che pompa funebre
scorgo venir? tiriamoci in un lato
che qual lugubre aspetto a te sia grato.
Scena
Settima
(Iolecon la pompa funebre, Coro di Sacrificanti, ombra d’Eutyro, Deianira, Licco, Coro di Damigelle d’Iole)
CORO
Gradisci o re, il
caldo pianto
ch’in mesto ammanto
afflitta gente
dal cor dolente
sparge per te!
Gradisci o re,
tua sepoltura i
fior riceva
che selva oscura
germogliar fe’: e
il sangue beva,
che per man monda
vacca infeconda
svenata diè,
gradisci, re.
IOLE E
se pur negli estinti di
generosità pregio rimane,
permetti o genitore,
che dopo aver io tanto (ahi lassa) in vano
per vendicarti oprato
ceda al voler del fato, e
che non già quest’alma, ma
sol di lei la sventurata salma
per l’iniquo tiranno
(per cui grato mi fora
più del talamo il rogo) di
sforzati imenei sottentri al giogo.
CORO Ah
ch’il real sepolcro
formando entro di sé dubbi mugiti:
ah, ah, (ch’esser ciò puote?)
tutto trema, e si scuote.
(Rovina il sepolcro d’Eutyro, e apparisce l’ombra di lui)
EUTYRO
Che sacrifici ingrati?
Che prigei ingiuriosi?
Che voti obrobriosi?
Porgonsi a me? così s’oltraggia Eutyro?
Così sia, ch’a sua voglia
fredda insensibil ombra ogn’un mi creda?
Farò ben, che s’avveda
l’omicida ladron, s’ancor m’adiro? E
se contro di lui
odio, rabbia, e furor più che mai spiro?
Dunque chi del mio sangue
fe’ scempio ingiusto, del mio sangue ancora
far vorrà suo diletto? ah non sia mai: e
tu dar vita a i parti di
chi morte a me di è (figlia) potrai?
IOLE
Ben resistea l’avverso mio volere
d’Ercole alle preghiere, e
alla forza di lui pur fatta avrei
resistenza invincibile, ma d’Hyllo,
d’Hyllo a te già non men, ch’a me sì caro,
che delle nostre offese
non fu complice mai:
anzi che ne sofferse al
par di noi con amorosa, e immensa
compassione il duolo,
d’Hyllo, ohimè, di lui solo il
periglio mortale
m’astrinse a consentire
all’aborrite nozze,
com’unico riparo al suo morire:
dunque perdona, o genitor, l’intento di
queste sacre pompe
ch’Amor, che non ha legge
ogni legge a sua voglia o scioglie, o rompe.
EUTYRO
Tant’ha d’Eutyro il nudo spirto ancora
invisibil possanza,
che neglette, e schernite le
temerarie voglie
del nemico fellone,
saprà salvare insieme
l’innocente garzone.
DEIANIRA O
dio dunque lasciate,
ch’a me di chi v’offese offesa moglie e
di chi tanto favorir bramate
madre, ohimè, feminina or sia concesso
d’accomunar con voi l’aspre mie doglie.
Per conservarmi il figlio
privarmi di marito, o
di remedio reo misero aborto; o
disperata speme.
Hylloè già morto.
IOLE
Ohimè, che di’!
DEIANIRA
Sul più vicino scoglio
della di lui prigion mentre attendevo,
che qualche picciol legno
colà mi conducesse a
consolarlo almen col mio cordoglio, lo
vidi all’improvviso, ohimè, dall’alto
cader nel mar d’un salto. E
se non lo seguii, fu
perché dal dolore, ahi, sopra fatta
caddi al suol tramortita, e
per man degli astanti
con mal saggia pietà quindi fui tratta.
EUTYRO
Dunque a qual altro fin, che per più strano
mio spregio, e scorno? Or di te far vorrai un
esecrabil dono al
barbaro inumano?
Ch’altra moglie trafigge, altra abbandona, e
né meno a suoi figli empio perdona.
Deh con giusto coraggio
saggiamente pentita,
rinunzia a un tanto error mentr’io ritorno
del fumante Cocyro all’aria impura
alle sponde infocate
per unire in congiura
l’anime ch’il crudele a morte ha date: e
ben vedrai ch’in vano io non prefissi di
sollevar contro di lui gli abissi.
(l’ombra di Eutyro sparisce)
IOLE
Hylloil mio bene è morto? altro che pianti
vuol da me tal dolore:
egli sol per mio amore
disperato s’uccise, ed io fra tanti
segni della sua fé sempre più chiari
fia ch’a morir dalla sua fede impari;
troppo io pregiai la vita, e or m’avveggio
quanto il morir più vale,
questa spoglia mortale
scopo è sol di sventure, e degno seggio
d’Amor sono gli Elisei, ov’ei più splende né
tirannia, né duolo alcun l’offende.
Attendetemi dunque, alme dilette
d’Hyllo, e d’Eutyro in pace,
ch’a raggiungervi io corro; ombra seguace.
LICCO
Ferma ti prego, e poiché (grazie al cielo)
tornò l’orribil ombra a casa sua, e
ch’a me così torna, è fiato, e voce;
vuo’ dar grato consiglio a tutte e dua. E
che miglior rimedio? A’
tanti vestri spasimi di quello a
proporvi son pronto?
Ch’è di guarire ad Ercole il cervello?
Quand’egli si raccenda
per te del coniugal dovuto affetto, e
che non curi più nuovi imenei,
ditemi ciò far mezzo sì raro avemo?
(a Deianira)
Veggio, ch’il duol estremo ti
rende smemorata, e quella veste,
che già Nesso centauro in
morendo a te diè,
qui pur non vale?
Per far ch’Alcide allor che l’abbia in dosso
ogn’altro amor ch’il tuo ponga in non cale?
DEIANIRA
Chi sa, che sia ben ver?
LICCO Ne
farem prova.
IOLE Ma
ciò per ravvivare Hyllonon giova.
LICCO Oh
che strane domande! Ma
ben potrei risuscitare un morto,
s’a contentar due femmine mi posi,
ch’è d’ogni altro impossibile il più grande,
s’in vece, che per troppa impazienza
posar monte su monte
aveller li giganti a sasso a sasso
fabbricato il lor ponte; al
dispetto di Giove
sarian montati in cielo a far fracasso. Si
va di là dal mondo a passo a passo. Né
sia vano il tentare di
levarci un’ostacolo cotanto
com’è d’aver con Ercole a cozzare.
Che por all’altro canto
chi sa? ch’Hyllosentendosi bagnato
fatto più saggio non si sia pentito e
a nuoto salvato.
DEIANIRA,
IOLE, LICCO
Una stilla di spene oh
che mar di dolcezza!
per un’anima avvezza a
languir sempre in pene.
Una stilla di spene,
benché tal’or mentita
nelle già fredde vene
riconduce la vita: e
per stupenda prova
fin con l’inganno giova.
(Le Damigelle di Iolerimaste a piangere presso le rovine del sepolcro d’Eutyro, alla vista di quattr’Ombre si spaventano, e formano così con le dett’Ombre la 6.
danza, per fine dell’atto quarto)
ATTO QUINTO
ScenaPrima
(La scena si cangia in inferno.Ombra d’Eutyro, Coro di anime infernali, Ombre delle antiche vittime di Ercole: Clerica, Laomedonte, Busiris)
EUTYRO
Come solo ad un grido,
che giunto a pena d’Acheronte al lido
formai, vi radunate anime ardite?
Su, così pur contro il comun nemico
vostro furore alla mia rabbia unite,
che più dunque si aspetta?
Pera mora il crudel, su
su vendetta.
CORO
Pera mora il crudel, su
su vendetta.
CLERICA
Pera mora l’indegno di
cui più scelerato unqua non visse,
che del troiano eccidio ancor fumante
non mai sazio di sangue i
miei poveri figli, e me trafisse, o
bella gloria in vero
d’un uccisor di mostri,
impiegare il vigore
con cui d’aver si vanta
sostenute le stelle
contro teneri parti, e madre imbelle. Ah
ver un chiostro
più fiero mostro di
lui non ha. E
se il crudel
per nostro ufficio
oggi cadrà
mai sacrificio
più grato al ciel
altri fe’, né mai farà.
Che più dunque si aspetta?
Pera mora il crudel, su
su vendetta.
CORO
Pera mora il crudel, su
su vendetta.
LAOMEDONTE
Pera mora il perverso
che d’un sol atto di pietà, che mai
tra le barbarie sue contar potesse,
qual mercenario vile
richiedendone il prezzo ne
contenti assai tosto
gl’avidi suoi desir quanto malvagi, si
pagò col mio sangue, e mille stragi. Su
su sbranamolo, su
laceramolo
giustizia il vol,
paghi egl’ancor
l’altrui dolor
col proprio duol.
Che più dunque s’aspetta?
Pera mora il crudel, su
su vendetta.
CORO
Pera mora il crudel, su
su vendetta.
BUSIRIS
Pera mora l’iniquo,
che dell’etereo Giove,
ingratissimo al pari,
ch’in legittimo figlio, di
sacerdoti, e vittime più degne,
con sacrilega man spogliò l’altari.
Pera l’abominevole; ma pera
della più cruda morte,
che per esempio eterno,
inventar possa mai l’irato inferno?
Quanti mai strazii,
nei negri spazii,
Pluto adunò
tutti s’unischino, e
assalischino,
chi ne svenò:
che più dunque s’aspetta?
Pera mora il crudel, su
su vendetta.
CORO
Pera mora il crudel, su
su vendetta.
EUTYRO Se
nel terrestre mondo
per iniquo favor d’ingiusti cielo il
suo corporeo velo
alla nostra mortal spoglia prevalse, ad
onta del suo orgoglio al fine impari,
che di sdegno, e
di forze ogn’alma è pari.
Che? Se più lo lasciamo
respirar impunito in
pace, e tirannia l’aure vitali,
crederà con ragione,
che sian di timid’ombre, e neghittose i
regni di Pluton tane oziose.
Su, su dunque ombre terribili su
voliam tutte in Ecalia,
nuova in ciel schiera stimfalia
contra il reo furie invisibili, e
con le vipere
onde Tesifone
tormenta l’anime
flagellamogli il cor;
fin ch’immenso dolor
con angoscie rabbiose il renda esanime.
CORO
Su, su dunque all’armi, su, su, su
corriamo a vendicarci,
ch’altro ben non può mai darci il
destino di quaggiù. E
che giova assordar quest’antri più
con il vano rumor de’ nostri carmi?
Su, su dunque
all’armi, all’armi.
EUTYRO Ah
più val più diletta,
che quante gioie ha il ciel una vendetta.
CORO Ah
più val più diletta,
che quante gioie ha il ciel una vendetta.
Scena
Seconda
(La scena si cangia in un portico del tempio di Giunone Pronuba. Ercole, Iole, Licco, Deianira, Coro di sacerdoti di Giunone Pronuba)
ERCOLE
Alfine il ciel d’Amorper me si serenò, e
i nembi di rigor, in
gioie distemprò,
sol nel mio cor pur sento un
soave martir,
ch’abbia per gir più lento
dati il tempo i suoi vanno al mio desir. Ma
pur l’amata Iole
l’adorato mio sole ecco a me viene,
dunque affatto il mio sen sgombrate o pene,
che di sì rigid’alma
qual si sia la vittoria io n’ho la palma, e
l’ardente mio spirto
pospon tutti i suoi lauri a
un sì bel mirto.
LICCO (a Iole)
Quando com’è tuo uffizio,
dar quella veste ad Ercole dovrai
per far di nozze tali il sagrifizio,
quest’altra in vece, il cui valor ben sai?
Destramente da me prender potrai.
IOLE
Così farò: ma che? per diffidenza di
rimedio sì incerto, ho il sen ripieno di
gelosa temenza.
Pur quando mi tradisca ogn’altro scampo,
soccorso mi darà pronto veleno.
ERCOLE
Deh non muovere Ioleil piè restio,
ver chi dominator del mondo intero
solo in goder dell’alma tua l’impero
pon la felicità del suo desio. E
il sacro concento
sciolgasi mai, ch’a me di tali indugi
grado è d’immensa pena
ogni momento.
CORO
Pronuba, e casta déa
l’alme de nuovi sposi
con lacci avventurosi
annoda, e bea. E
quieta, e gioconda
da’ lor nestorea vita, e
gl’amplessi feconda
con progenie infinita.
ERCOLE E
di che temi, Iole, e
di che tremi?
IOLE
Ecco il mio viver giunto a
un formidabil punto.
ERCOLE
Deh su porgimi ardita la
veste, ond’io ben tosto
per i nostri imenei
renda olocausto a i déi.
CORO
Pronuba, e casta déa
l’alme de nuovi sposi
con lacci avventurosi
annoda, e bea. E
quieta, e gioconda
da’ lor nestorea vita, e
gl’amplessi feconda
con progenie infinita.
ERCOLE
(dopo aver indossato la tunica)
Ma
qual pungente arsura la
mia ruvida scorza intorno assale?
Qual incognito male
d’offendermi temendo
serpe nascoso per le vene al core?
Qual immenso dolore, ahi mi conquide? E
per dar morte a me tanto più dura in
vista de’ contenti, oh dio, m’uccide? E
tu lo soffri, o genitore? E lasci,
ch’io, che con piè temuto
passeggiai della morte i regni illeso, e
che fin dalla cuna di
belle glorie adorni
tutti contai della mia vita i giorni, or
senz’avere a fronte
sanguinoso nemico (ah rio martire,
che della morte ancor vieppiù m’accora) in
ozio vil qui mora?
Senza che gloria alcuna
renda almen di me degno il mio morire.
Almen di nubi oscure
vela quest’aria in torno sì
che sorte maligna di
me grato spettacolo non faccia
all’implacabil mia cruda matrigna; e
per quando la tua
insensata pigrizia,
(oh gran tonante) il
conquasso destina
dell’universo, ohimè, s’ora nol fai? E
a che riserbi il cielo?
Che nel perder Alcide a perder vai? Ma
l’atroce mia doglia
imperversando ogn’or pochi respiri mi
lascia più, deh s’il morire è forza,
ardasi la mia spoglia né
della terra, i di cui figli uccisi
s’esponga un rifiuto: a
dio, cielo, a dio Iole,
eccomi Pluto.
LICCO
Che dite? Il mio non fu rimedio tardo, ma
un poco più (ch’io non credea) gagliardo.
Pur ciascuna di voi di già rimira il
penoso destin per sé finito
d’un amante importun, d’un reo marito. E
non piagete già,
che comunque ch’avvenga a un saggio core
dar non si può qui giù sorte migliore:
che di vivere in pace, e libertà.
IOLE
Qual tra perigli estremi di
strepitose, e orride rovine un
ch’è salvato a forte
stupido resta, sì rimasi anch’io
senza moto, né voce; ah perché dunque
Hylloil mio caro ben, perché morto?
DEIANIRA Ah
Nesso mi tradì, deh ti perdoni o
Licco il ciel l’involontario errore; a
dolor su doloreegualmente infinito
più resister non so,
mostrami o morte e
del figlio la traccia, e del consorte. Ma
che?
l’ombra del figlio
ecco ch’ad incontrarmi
ver me riede pietosa.
ScenaTerza
(Iole, Deianira, Licco, Hyllo)
IOLE
Veggio, o di veder parmi?
Non atteso contento? Ah
che dar fede a
gl’occhi il cor non osa.
DEIANIRA Oh
che opportun ristoro?
LICCO Oh
che spavento!
IOLE
Hyllo?
DEIANIRA
Figlio?
DEIANIRA,
IOLE
Sei tu?
HYLLO
Mercè di Giuno
son’io dal mar salvato
acciò per gl’occhi miei
versi in un mar di pianto il cor temprato. Se
qual ridirlo intendo
vero è del caro padre il fato orrendo.
DEIANIRA Ah
figlio ahi troppo è ver, che mi rivedi
vedova afflitta, e sola.
IOLE
Pur mio ben ti consola,
che se perdesti il genitor crudele me
qui ritrovi, e l’amor mio fedele.
HYLLO Ah
dunque il ciel non seppe
farmi teco felice?
Senza misero farmi, e sventurato
con la mia genitrice?
LICCO Oh
ben tornato.
HYLLO
Ahi che con forza eguale a un tempo istesso dà
gioia, e dà dolore
tratto in contrarie parti
sento squarciarmi il core.
DEIANIRA
Ohimè dunque che fia?
LICCO
Forz’è che io rida
quel che è stato mai sempre da
che morte impugnò falce omicida,
ch’altri avvien, che si stempre in
pochi, e altri in copiosi lutti. Ma
chi muore suo danno,
che tosto, o tardi si consolan tutti.
DEIANIRA
Saranno almen le ceneri d’Alcide le
più pompose de’ funebri onori e
più sparse di lagrime, e di fiori.
HYLLO
Certo è che i miei singultinon avran fin.
IOLE Ma
non fia già che solo tu
pianga amato ben, che se comune ho
teco il cor sia pur comune il duolo.
LICCO Or
che sorte è la mia?
Che senza averne voglia,
anch’io per compagnia
converrà che mi doglia.
DEIANIRA,
IOLE, HYLLO, LICCO
Dall’occaso a gl’Eoi ah
non sia chi non pianga,
ch’oggi il sol de gl’eroi
estinto, ohimè, rimanga.
Scena
Quarta
(Cala Giunone nell’ultima macchina corteggiata dall’armonia de’ cieli, e apparisce nella più alta parte di questi Ercole sposato alla Bellezza.
GIUNONE
Su, su allegrezza
non più lamenti
deh non più no,
ch’ogni amarezza il
ciel cangiò
tutt’in contenti
tutt’in dolcezza
non più lamenti
su, su, allegrezza.
Non morì Alcide
tergete i lumi
non morì no, su
nel ciel ride,
che lo sposò il
re de’ numi
alla bellezza
tergete i lumi
su, su, allegrezza.
Così deposti alfin
gl’umani affetti
così l’alma purgata
d’ogni rea gelosia
ciò che qui giù sdegnò, lassù desia.
Quindi ammorzati anch’io gl’antichi sdegni
per il vostro godere: a
me sì glorioso
contenti, ch’egli goda in su le sfere un
beato riposo.
(a Hylo y Iole)
Onde a compire ogni desio celeste
sol de’ vostri imenei
mancan le feste. Su
dunque a i giubili
anime nubili e
felicissimi i
miei dolcissimi
nodi insolubili al
par d’amor v’allaccino, e
nelle vostre destre i cor s’abbraccino. Se
a pro d’un vero amore il giusto Giove
meraviglie non fa, a
che riserberà sue maggior prove?
IOLE, HYLLO Oh
déa come n’arrequi.
DEIANIRA
Ch’a i detti tuoi
non lice a noi
fede negar né ossequi oh
déa come n’arrequi.
IOLE, HYLLO
Che dolci gioie oh déa
versi nel nostro seno, il
ciel benigno a pieno
che più dar ne potea?
Che dolci gioie oh déa.
LICCO
Come a tante rovine
succeduto ad un tratto è un tanto bene in
fatti è ver qui giù danzano in giro e
si tengon per man contenti, e pene.
GIUNONE,
DEIANIRA,
IOLE,HYLLO,
LICCO
Contro due cor ch’avvampano
tra loro innamorati in
van del ciel s’accampano
per guerreggiar i fati. Da
lega d’amore
fia vinto il furore
d’ogni contraria sorte:
d’un reciproco amor nulla è più forte. Ballet
Scena
Quinta
(Ercole, la Bellezza, Coro di pianeti.
CORO
Quel grand’eroe, che già
laggiù tanto penò
sposo della beltà
per goder nozze eterne al ciel volò!
Virtù, che soffre alfin mercede impetra e
degno campo a’ suoi trionfi è l’Etra. Ballet
BELLEZZA,
ERCOLE
Così un giorno avverrà con più diletto,
che della Senna in su la riva altera
altro gallico Alcide arso d’affetto
giunga in pace a goder bellezza ibera; ma
noi dal ciel traem viver giocondo e
per tal coppia
sia beato il mondo.
BELLEZZA Gioie, accorrete numerose poichè voi ben sapete come rendere un cuore felice La bella età è efimera e anche voi posserete, come il tempo. Accompagnate sempre il reale Imeneo Siete fatte per lui cosi come lui e fatto per voi. Conservate l’ardore che Amore vi donò e non scemi la vostra dolcezza affinché siate sempre benvenute.
TUTTI
Virtù che soffre
alfin mercede impetra e
degno campo a’ suoi trionfi è l’Etra. Ballet
(Le varie influenze di sette Pianeti scendono sul palcosuccessivamente a danzare, e in fine anche un Coro di stelle)

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PRÓLOGO Escena única (Paraje montañoso por el que discurren 14 ríos que bañan las provincias y posesiones de la corona de Francia. Al fondo, en perspectiva, vemos el mar. Cinzia desciende por el aire con gran aparato escénico) CORO DE RÍOS ¿Por qué ha decidido el destino, que hoy, junto al cercano mar, nos encontremos en el festivo París? Nosotros, que ensalzamos el noble yugo y los hermosos dones del imperio francés. RÍO TÍBER ¡Ah! Mientras que en la tierra se decide el destino de los derrotados en la horrible guerra ya finalizada, Cinzia, con el mayor candor, nos ha elegido como testigos para dar realce a las ansiadas bodas de María y Luis. CORO DE RÍOS ¡Prestad atención, prestad atención a todo lo que se diga! CINZIA Y he aquí, ¡oh, Galia invicta! que tus mayores virtudes iluminan, como lámparas de un templo de techo de pura plata, la gloria y los símbolos de la más grande de las casas reales. Con admirable cuidado, los cielos, en colaboración con el tiempo y la
naturaleza, han injertado un poder en otro, un centro en otro, para crear la prosapia de los reyes
francos. Desde una montaña de coronas reales fluyó un río de glorias, aumentando su caudal inicial con una victoria tras otra, creando así un torrente tan caudaloso como la sangre de los antiguos aqueos, con un cauce ancho y profundo rodeado de palmas y trofeos, que inundó triunfal al mundo entero. En las orillas doradas del Sena
belicoso se erige un palacio al que protegen las esferas celestiales, infundiéndole su gracia. Y ahora, cual prodigio de etéreos
placeres, el dios del amor une en matrimonio a la belleza ibérica con el franco
valor. CORO DE RÍOS Después de angustiosos años de guerra, ¡oh, llegan las dulces alegrías! Para tan dichosa ocasión, la Galia
abre, no sólo su corazón, sino también su
reino. CINZIA Pero vosotros, ¿por qué tardáis en
inclinaros? Salid a reverenciar a Ana, la gran
reina, y que, a los novios, a quienes aguardamos, los cielos bendigan y confirmen que ambos son un brote de la divinidad y así como también lo serán sus
herederos. Venid a celebrar, con la digna alegría de vuestros
bailes, que en los valles cerúleos el mar ya se rinde respetuoso a los
campos. Así como al finalizar sus grandes
trabajos, Hércules desposó a Hebe, también después de mil hazañas
heroicas, en lo mejor de sus años juveniles, el rey de los galos celebrará su boda. Y para su mayor deleite se permita que, como Hércules, sea hoy el amante, y comprobemos que un héroe en este mundo no conoce mayor recompensa que el placer de disfrutar en paz de la más alta belleza.
Ballet CORO DE RÍOS ¡Oh, Galia afortunada! Por tus innumerables victorias, te haces merecedora de la paz del
himeneo y las últimas glorias te bendicen con la mayor de las esperanzas. Para que tu alegría sea aún mayor, he aquí que un heredero real pronto verás alcanzando nuevas glorias que brillarán más que dos soles. ¡Oh, Galia afortunada! (Todos los personajes descienden al escenario para bailar y luego
vuelven a entrar en la misma tramoya, que se
cierra, y los eleva de regreso al cielo)
ACTO PRIMERO Escena Primera (La escena se traslada a la linde de
un bosque y en perspectiva se ve una
gran extensión contigua a la ciudad de
Ecalia) HÉRCULES ¡Cómo se burla el dios del amor de mi
poder! A mí, ante quien se rinde el mundo, ¿me rechaza una doncella? ¡Oh dioses! ¡Cómo se burla el Dios Amor de mi
poder! Quien tantos monstruos ha desangrado como testimonio de su fuerza ¿debe temer las veleidades de una
muchacha y caer vencido por su vano deseo? ¡Cómo se burla el dios del amor de mi
poder! ¡Ah, Cupido, no comprendo por qué los cielos te toleran tanto! Ni en el horrible palacio de Plutón existen seres tan malvados como tú. ¿Con qué impías y malignas tretas gobiernas mi confiado reino? Mientras que en los templos se veneran las adoradas deidades de la gracia y la belleza, en el tuyo sólo existen ídolos
abominables, que ensalzan la perfidia, el orgullo y el desdén. Así acontece que por Yole, en el altar de mi corazón, se esparcen profundos suspiros, y que yo me consumo como una víctima infausta. ¡Ah, Cupido, no comprendo... Escena Segunda (Venus desciende del cielo con las Gracias en una tramoya. Venus, Hércules y coro de Gracias) VENUS Si una ninfa al llanto de los verdaderos amantes nunca se rinde y les niega su gracia, el amor no es culpable de eso. CORO Si una ninfa al llanto de los verdaderos amantes nunca se rinde y les niega su gracia, el amor no es culpable de eso. VENUS Un escollo más rígido, un monstruo más gélido no hay en el mar como el ser amado que no ame de igual modo. CORO Un escollo más rígido, un monstruo más gélido no hay en el mar como el ser amado que no ame de igual modo. VENUS Todo imperio tiene sus rebeldes y transgresores tienen todas las leyes, pero a las fuerzas favorables y
benignas yo convoco con dulce encanto, (que la potencia del Amor es la fuerza más poderosa) para superar a tu favor el rigor que la maligna fortuna, siempre adversa a mi hijo, ha forjado en el corazón de Yole. Por mi voluntad, hoy mismo disfrutarás de sus dulces afectos en un jardín
florido. HÉRCULES ¡Oh Diosa, si satisfaces mis deseos, encenderé en tu altar todos los bosques de la fragante
Arabia; y sacrificaré para ti todos los jabalíes de Erimanto; que no hay en el cielo ofrendas más
preciadas con las que agradecerte tal dicha. VENUS Ve al lugar indicado y espérame. Haz que Yole pasee por allí antes de la puesta de sol, que allí acudiré armada para vencer su resistencia. Le dispararé con mi arco para que mi agudo dardo la hiera y así arda de amor por ti. Un dardo invisible, que inevitablemente tendrá tal fuerza, que provocará una herida incurable en su corazón. Que toda tristeza sea expulsada de tu corazón. Que la alegría del amor, tan grata a los cielos, te colme de felicidad y dicha. VENUS, HÉRCULES ¡Que desaparezcan volando del hermoso imperio del dios del amor las penas y el dolor! GRACIAS Y que en él tan sólo haya gozo, como en una nueva edad dorada. VENUS, HÉRCULES Que se derrita el hielo que cubre todos los corazones y que toda amargura se transforme en dulce miel. GRACIAS Y que en él tan sólo haya gozo, renovándose así aquella edad dorada. (La tramoya de Venus vuelve al
cielo) HÉRCULES Infeliz y desesperado estuve viviendo
noche y día. Pero ahora ¿qué promesa inesperada con su rayo purísimo me ilumina? HÉRCULES, CORO ¡Ah, si un corazón se enamora, que nunca desfallezca! Que el poder soberano de la diosa Fortuna impera sobre el amor, de tal forma que lo hace invencible y ya nunca se rinde y siempre con gran osadía se le hace imposible ceder. Escena Tercera (Entre las nubes de la tramoya Juno, que había estado escondida,
desciende sentada en un gran carruaje) JUNO ¿Acaso pretende la diosa chipriota
(Venus) hacer un último esfuerzo para redoblar sus ultrajes contra mí y favorecer a aquél que ya antes de nacer ofendía mi honor con sus intenciones impuras? ¿Aquél, que antes de inspirar aire, respiró los deseos de dañarme y que después de haber tomado de mi
pecho su primer alimento, para vivir insolentemente, trató de herirme, de matarme? ¡Ah, me enteré de sus planes, pero los desbarataré con míos propios! Hilo y Yole, se aman con pasión ¿y sólo para contrariarme la inicua diosa Venus, quiere que Himeneo no los una? Para mi mayor oprobio, procura que el nudo conyugal que une a Hércules y Deyanira se rompa. Pretende que Yole y ese canalla, que mató al padre de ella, puedan yacer hoy mismo juntos en un monstruoso abrazo. ¡Y con qué malas artes, oh dioses! Venus emplea métodos indignos, impropios de una deidad como ella. Pero en el amor, lo que no es
espontáneo, no es amor, ni es alegría, sino que es una insípida aventura que sólo despierta piedad. Pero en el amor, lo que no es espontáneo, no es amor, ni es alegría. Si no nace de una pasión natural y
generosa, cambia su naturaleza transformándose en odio. Pero ¿por qué con quejas vanas pierdo el escaso tiempo que me queda para
actuar? ¡Llevadme, oh vientos, a la gruta del
sueño y, rodeando mi trono, derramad generosos furias, rayos y tormentas! (Juno desata tormentas y relámpagos desde la nube de su carroza,
originando el inicio de la danza del final del
primer acto) Ballet
ACTO SEGUNDO Escena Primera (La escena cambia a un gran patio del palacio real. Hilo y Yole) HILO, YOLE El dios del amor, nunca ha encendido una pasión tan intensa como la que consume nuestras almas. Cuando el malévolo cielo intenta apagar sus llamas éstas se avivan aún más en nuestros corazones. YOLE ¿El respeto de un hijo por su padre no hace que cambie tu lenguaje amoroso? HILO ¡Que pronto tu cariño no rinda homenaje al poderoso Alcides (Hércules)! YOLE ¡Ah, solamente el dios del amor puede forzar un corazón! HILO Rival es un título odioso, que comparado con cualquier otro, se vuelve ocioso. Una sola vida mi padre me ha dado, y por ti, mucho más que mil vidas yo quisiera dar. YOLE Y por ti, bien mío, al impío usurpador cedo el reino y el mundo entero, pues sólo a ti te amo. HILO, YOLE ¡Oh, corazones apasionados, no os rindáis ante la adversidad y no os canséis nunca de disfrutar! Pensad que vuestros sentimientos están absolutamente a la par con la felicidad que el amor otorga. Escena Segunda (Un paje, Yole e Hilo) PAJE Hércules me envía para preguntarte si hoy quieres dar un paseo con él por el jardín. YOLE ¿Cómo podría negarme? De aquel que las estrellas me
otorgaron, aún los ruegos son órdenes. HILO ¡Ah, qué amargo sabe el veneno que presagia los celos que me acosan! Sólo el temor me domina. YOLE No temas querido Hilo. Ninguna violencia podrá alejarme de ti, sin quitarme la vida. HILO Y si ese caso llegara, si yo hubiera de perderte, mi bien
amada, ¿qué mejor suerte que seguir tu
destino? YOLE Que tu alma desecha esos temores. Si Hércules muestra afecto por mí, igualmente me respeta y yo te seré
fiel. (al mensajero) Vuelve, dile que voy, y que Hilo viene conmigo. HILO ¿Y si yo no fuera contigo? En cualquier parte que yo esté o vaya mi pensamiento siempre estará contigo. Quien pueda vivir un solo instante lejos de la belleza que lo hechiza, no merece ser considerado un verdadero amante. El fuego del amor se apaga si la pasión pierde su intensidad; y nuestras cadenas, si se aflojan un poco, se soltarán. YOLE ¡Oh, glorioso Amor que noblemente, con fe inamovible y cada vez más ardiente alcanzaste la victoria! Sólo los que flaquean se liberan de sus cadenas. En el reino del Amor esa actitud es desdeñada, pues los que flaqueen perderán su divinidad y la eternidad le será negada. Escena Tercera (Paje) PAJE ¿Y cuál es ese amor del que tanto se habla en la corte y al que se le dedican mil canciones de todo tipo y a toda hora? ¿Es acaso un embaucador que por lo que he oído decir (sin entenderlo demasiado) que otorga a la vez gotas de dicha y penas a raudales, haciendo que todo el mundo lo adore?... De seguro tiene que ser un embaucador. Me gustaría verlo, pero tengo entendido que es imposible, dado que es invisible y además porque siempre está con las mujeres; y ellas lo tienen aferrado, lo mantienen escondido, como si estuviera metido en la cueva más oscura. Escena Cuarta (Deyanira, Licco, y el Paje) LICCO ¡Buenos días, amable muchacho! PAJE ¡Y buenas noches! LICCO Pero ¿dónde vas con tanta prisa? PAJE A entregar un gran mensaje. LICCO ¡Escucha un momento, espera! Sé cuáles son tus obligaciones de paje. PAJE ¿Y cómo sabes que Yole me envía a Hércules?... LICCO Te envía. PAJE Sí, por mi intermedio le envía... LICCO Un mensaje. PAJE Es cierto a decirle... LICCO Que irá al jardín de flores como él lo desea. PAJE ¿Eres un adivino? LICCO Y muy famoso. Una cosa así a mí no se me escapa. DEYANIRA ¡Ah cruel, ah desleal, ah traidor, ingrato, ah impío e infiel, del amor conyugal jurado entre nosotros! ¿Así que él ya ha elegido el lugar para llevar a cabo su traición? ¡Ah Deyanira, no esperes ningún
consuelo, pues estás destinada a morir de dolor! PAJE ¿Qué? ¿Esta extranjera también está enamorada? LICCO Esto me confirma que el amor verdadero, en que yo, como sabio yo no creo, en los hombres hay muy poco y en las mujeres cero. PAJE Hay tal número de amoríos en esta corte que no deseamos otros que vengan de afuera. Hilo ama a Yole y ella le corresponde; pero odia a Hércules que la ama a ella. Nicandro ama a Licori y ella ama a Orestes que ama a Olinda. Y Olinda y Celia, astutas, sólo aman las joyas y el oro. Y por último Niso y Alidoro aman a
todas. LICCO ¿Y por qué odia Yole a Hércules? PAJE Porque mató a su padre Eutyro. LICCO ¿Y ella ama al hijo de quien mató a su
padre? ¿Aborrece a la planta, pero ama su
fruto? ¿Qué te apuestas a que sé la razón por la que ella hace lo que hace? Uno de ellos es demasiado viejo y el otro es muy joven. PAJE Desde el comienzo Yole amó a Hilo, de modo que, para complacerla, Éurito incumplió la promesa de matrimonio dada a Hércules de que su hija se casaría con él. Hércules sufrió muchísimo por ello, lo que le costó la vida al desdichado
Éurito. Pero tú, que todo lo sabes, ¿no sabes que Hércules, impaciente y apasionado, me espera? ¿Y que en el mundo hay miles de dramas originados por la impaciencia de amorosas
pasiones? Escena Quinta (Deyanira y Licco) DEYANIRA ¡Miserable, ay de mí, qué escucho! No sé si estar más celosa como madre o como esposa. Mi hijo y yo estamos en peligro. Peligra tanto mi matrimonio como la vida de mi hijo; si por lo menos sufriendo uno pudiese salvarse el otro... ¡Oh dioses, el Destino me predijo este destino inicuo: los dos deberemos sufrir! Mi muerte no salvará a mi hijo. ¡Oh, presagios funestos! Hércules se deja llevar fácilmente por
la ira y no sería la primera vez que asesine atrozmente a un familiar. Qué mal hice en dejarme arrastrar, a causa de mis desgracias, a estas tierras extrañas, donde el destino ha convertido mi vida en un infierno. Ahora veo, ¡ay, pobre de mí! cuánto mejor estaba suspirando y
llorando dentro de los muros de mi patria,
Calydonia, que aquí a salvo, en medio de tanto ultraje y dolor horrendo. ¡Ay, qué amarga es la certeza, de haber sido traicionada! ¡Ay de mí, cómo los celos que me atormentan han invocado a las furias del averno que colman mi alma! En el amor se duplican las angustias y los tormentos, pero si en él desaparecieran para
siempre las sospechas y la traición ¡qué dulce sería entonces el amor! LICCO ¡Ah, siempre fue en el amor un torpe
consejo buscar saber más de lo necesario para disfrutar de él! Las vetas de oro están ocultas bajo montañas de tierra y rocas; pero en el terreno amoroso, por el contrario, bajo una superficie brillante sólo se encuentra barro y estiércol. Así quienes excavan con arduo trabajo bajo esa superficie, se enlodan cada vez más. Bien te aconsejé que no vinieras a enfrentar penas y riesgos. ¡Ah, ya me parece oír las afiladas flechas del airado
Hércules, silbando junto a mis oídos! DEYANIRA ¡Ah, Licco! ¿Tienes miedo? ¡Ay, pobre de mí! ¿Qué será de mí, sin tu ayuda? LICCO ¡Ah, Deyanira! ¿Sientes temor? Yo no tengo miedo. DEYANIRA Pero sin embargo, estás temblando. LICCO Puede que así sea, pero todo en el mundo es relativo. Si tú tienes mucho miedo, entonces yo tengo menos miedo. Entre aquellos que son muy pobres, quien tiene cuatro monedas se cree
rico. Así pues puedo mostrarme como un
valiente entre quienes tienen más miedo que yo. DEYANIRA Entonces, ¿qué debemos hacer? LICCO Ya nos hemos puesto estas ropas campesinas. Si somos cautelosos y nos mantenemos silenciosos Hércules creerá ver en ello más que alguna burla o juego. ¡Gracias que la corte está llena de
extranjeros! Guardemos silencio y evitemos las
preguntas sobre nuestro origen e intención. Seamos cautos. Escena Sexta (La escena se muda a la cueva del
Sueño. Pasítea, el Sueño, coro de céfiros y
arroyos) PASÍTEA Murmurad ¡oh, arroyos! susurrad ¡oh, céfiros! porque con vuestros susurros y
murmullos evocáis el hechizo del olvido que elimina toda preocupación y hace que el Sueño pueda dormir. Quien de verdad ama pone el bienestar de su amado por encima del propio, así pues, me complace cuando me acuesto a la noche, ver a mi esposo como ahora, durmiendo plácidamente. CORO Duerme, duerme ¡oh, Sueño! duerme, duerme en brazos de Pasítea la ninfa que más afecto no puede
tenerte. Duerme, duerme ¡oh, Sueño! duerme. Duerme, duerme ¡oh, Sueño! duerme, sobre ti los amorcillos te abanican con sus sedosas alas. En tu corazón, plácido dios, los celos no tienen cabida, así como las crueles sospechas. Duerme, duerme ¡oh, Sueño! duerme. Escena Séptima (Desciende Juno desde el cielo.
Juno, Pasítea, Sueño, coro de céfiros y
arroyos) PASÍTEA ¡Oh, diosa sublime! ¿Qué nuevo deseo celestial te trae a esta humilde morada terrenal? JUNO Vengo a proteger mi honor y la fe de otros, pues es sagrada para mí. Para enfrentarme a las artimañas que se preparan con fraudes y
violencia, necesito la ayuda de tu esposo, El
Sueño, solamente por una breve hora. PASÍTEA ¡Ay, expones de nuevo a mi amado a la ira de Júpiter! No, eso nunca lo consentiré. JUNO No temas Pasítea, sólo necesito su
ayuda para mantener controlados a unos simples mortales, ya sujetos a su perezoso dominio. PASÍTEA ¿Me puedes asegurar eso? JUNO Si quieres te lo juro por ei propio Leteo. PASÍTEA Juno, es suficiente, me complazco en cumplir tu deseo
soberano. JUNO Entonces, trae aquí a tu marido... (Juno sube a Sueño en su carro y se marcha) JUNO Para las penas del amor eres un alivio tan dulce como miel. Para todos, eres más importante que Ceres, por eso, sal de tu cueva indolente y acepta venir conmigo porque el dios del amor hoy quiere que sometas al insolente y poderoso extranjero y le arrebates su libertad. TODOS Que el rocío más preciado bañe por siempre tus amapolas y que con las caricias del viento florezcan para ti los lirios y las
rosas. PASÍTEA Ve, pero regresa pronto, porque tu ausencia me es muy dolorosa. ¿Qué no será para aquellos que te
adoran? Incluso durante el sueño, el dios Amor, tiene el poder de mantener despierta la memoria. TODOS Que el rocío más preciado bañe por siempre tus amapolas y que con las caricias del viento florezcan para ti los lirios y las
rosas. (Los sueños que permanecen en la
cueva, desarrollan el ballet para el final
del acto)
ACTO TERCERO Escena Primera (La escena se transforma en un
jardín de Ecalia. Venus baja del cielo a la
tierra, en una nube. Venus, Hércules) VENUS Sólo espero que el infierno se muestre hoy más benevolente que el dios Amor. Cupido, desde que nació, se mostró celoso de mi poder y soporta paciente el tiránico poder de la diosa Fortuna, porque, aunque ella es ciega, él ansía parte de su poderío. HÉRCULES Por mí puedes cambiar las delicias del cielo por los de esta
tierra. ¿Por qué no me envías a los pantanos de Lerna o a los bosques de Nemea para que pueda matar una serpiente o un
león y traerlos ante ti ¡oh, diosa! ofreciéndotelos como grato holocausto? VENUS Espero poder cambiar el corazón de Yole y encender su amor por ti. Si logro tal proeza con mi arte, esa será para mí una recompensa
suficiente. Mira, esta es la vara con la que Circe hacía maravillas mágicas; con un sólo movimiento obedientes doncellas se transformaban en sirenas irresistibles y mortales. Con el auxilio de esta vara mágica, de la tierra surgirá un prodigioso lecho de hierbas al que espíritus diabólicos han incorporado obscenas mandrágoras, pálidas piedras de Lydia y corazones de golondrinas enamoradas. Cuando Yole duerma en ese lecho, su desdén por ti se transformará en un dulce amor. HÉRCULES ¡Oh diosa, por tus recursos tan
insólitos un raro temblor me invade! Y sin embargo no puede ser temor pues hasta ahora desconozco miedo. Debe ser una premonición de la dicha que me espera. Pero aún así, ese amor me parece poco valioso aunque me prometa goces infinitos, puesto que no proviene del cielo, sino que llega desde lo más profundo del abismo infernal. VENUS Escucha lo que te digo. Mientras lo disfrutes ¿qué te importa? ¿Qué te importa si el amor es un fraude o una gracia? Mientras lo disfrutes ¿qué te importa? ¿Qué otra cosa es el amor? El amor es una guerra donde dichosos, el valor y el engaño triunfan por igual felices. ¿Acaso no sabe que en el reino de mi
hijo, el arquero Cupido, no hay nada verdadero excepto penar? Recoge el don que la fortuna por mi mano te otorga. Aún el torrente turbio apaga la sed infinita; y quien languidece de hambre no elige los alimentos para mantenerse
vivo. La razón hacia ti me inclina, te enviaré al veloz Mercurio para que favorezca tus propósitos. VENUS, HÉRCULES ¿Y por qué el dios del Amor no hace destinatarios de su dicha a las huestes que lo siguen? ¿Y por qué la crueldad, por qué el rigor, siempre está dispuesto a usar? Para invocarlo toda artimaña será lícita. Un ardid que despierte ardientes deseos ayudará a favorecer la dicha. Escena Segunda (Hércules y el Paje) HÉRCULES El amor es una virtud que puede equipararse a la osadía con la que me enfrenté, en aquella torre desconocida, a los ladridos de Cerbero y a los horribles estrépitos del espantoso abismo. Tú me has desarmado. Pues yo, que a pesar del terrible
guardián tomé con intrépida mano el fruto del jardín de las Hespérides, ahora no me atrevo a acercarme a la
belleza por la que languidezco enamorado. ¡Oh, cómo caen en mi pecho ardientes rayos que brillan con la belleza, del humilde respeto y sumisión! ¿No tiembla el cielo ante tan suprema y adorable majestad? PAJE Tal como querías, Yole pronto aquí vendrá. HÉRCULES ¿Y dónde la encontraste? PAJE En el patio real, hablando de amor. HÉRCULES ¿Hablando de amor? ¿Con quién? ¡Vamos, dilo! ¿De mi amor? PAJE De su amor por Hilo. HÉRCULES ¡Cómo! ¿Entonces mi hijo se ha convertido en mi rival? ¿Habrá llegado a semejante temeridad? Tú no has oído bien, muchacho necio. PAJE Ya están aquí. Escena Tercera (Hércules, Yole, Hilo, damas de honor y el paje) HÉRCULES Hermosa Yole, ¿cuándo sentirás piedad de mí? Quien suplica tu compasión es famoso por su valor, pero sin embargo se encuentra ante ti temblando y suplicando por tu amor. Hermosa Yole, ¿cuándo me lo concederás? YOLE Si mi corazón fuera capaz de mostrar el más mínimo sentimiento por aquel que mató a mi querido padre, debería sentir horror por él y no afecto. HÉRCULES ¡Ah, hermosa Yole, tan gran crimen y tan digno castigo, surgió de mi desesperación porque me negaste tu amor! ¿Me rechazas a causa de una fatal vicisitud surgida ¡oh, dioses! de un impulso irrefrenable originado por mi ardiente amor? Si el propio dios del trueno se hubiese atrevido a negarme lo que Eurytro me había prometido, como ya sucedió con el dios sol y el dios triforme, yo habría lanzado contra él las flechas envenenadas de mi arco. YOLE Solamente yo fui la responsable que el rey, mi padre, rompiera la promesa que te había dado. HÉRCULES ¡Ah! ¿Tú lo convenciste de que hiciera tal cosa? ¡Entonces, tú fuiste quien lo mató! Aquellos que ponen en marcha un crimen, son los responsables del mismo. Pero olvida, por ahora, hermosa mujer esos recuerdos tan fatales. ¡Ven y siéntate junto a mí! Que yo también dejaré a un lado mi ferocidad innata, cambiando mi garrote por la rueca. A partir de ahora seré tu más devoto sirviente. Nunca me arrepentiré de ser tu sirviente más fiel y respetuoso. (Yole se acomoda en el lecho
embrujado y Hércules sigue su discurso
hablándole al titán Atlas. Yole comienza a sentir
los efectos del hechizo) Atlas, mira como hoy, a causa de la suprema belleza, Hércules se trasforma en amante. Pero no te rías de mí, Atlas, porque sólo sigo las órdenes del pequeño arquero Cupido. Sólo por la voluntad de Amor, fue que Prometeo pastoreó rebaños celestiales y los dioses no se rieron; al contrario, lo observaron con respeto por sus obras amorosas. Tan glorioso y hermoso es hilar como sostener el firmamento. YOLE ¿Pero por qué siento brotar en mi pecho un repentino e involuntario sentimiento de amor por ti, de manera que me veo obligada a amarte y a que tú me llames amor mío? HILO ¡Ay, qué escucho! ¿Y no es un sueño? ¿Estoy despierto? ¡No entiendo nada! ¿Tanto has cambiado, Yole? Mujer de frágil fidelidad que traicionas a quien confía en ti. HÉRCULES Hilo, ¿qué te martiriza? ¿Qué significa lo que estás diciendo? (El Paje tenía mucha razón) ¿Acaso amas a Yole? HILO ¿Y yo sufro por una impía ingrata, que traicionó la memoria de su padre, al mundo y al cielo? ¿Por una mujer tan voluble, que contigo engaña a mi madre,
Deyanira, y conspira para hacerme daño? ¡Ay de mí! Desearía que el airado dios del Trueno lanzara sus rayos sobre mi cabeza y me tragara el más negro averno. YOLE ¡Oh, qué infeliz! ¡Oh, qué miserable
soy! ¿Qué he hecho? ¡Matadme, oh dioses! HÉRCULES Hasta ahora nunca te preocupaste por Éurito y mucho menos por Deyanira. Vete, y da gracias al cielo de que hoy yo estoy de buen talante. HILO ¡Adiós! Me mataré saltando por el acantilado. Escena Cuarta (Hércules, Yole, Paje) HÉRCULES ¿Y tú, en qué piensas Yole? YOLE En mi error. En lo que dije inconscientemente... No lo he dicho yo, es fruto del sufrimiento de un alma desesperada y sumida en un frenético error motivado por un inmenso y profundo dolor. HÉRCULES No pienses, ¡oh, hermosa niña! que hieres gravemente los sentimientos de Hilo, al que mi justa ira ha perdonado. Confía en mí y piensa, piensa mejor en tus palabras, producto de tus deseos, que tanto hacen sufrir a Alcides. YOLE (sometida al encantamiento) ¿Quién invade mi pensamiento con el más querido de los sentimientos? ¿Quién en mi tierno pecho, con un extraño afecto origina tal zozobra? ¿Quién, a mi desdeñoso corazón le sugiere amarte? ¡Ah, en mis pensamientos no encuentro ninguno que sea opuesto a tus deseos! ¡Ah, no respiro sino por tu aliento! HÉRCULES Y, sin embargo, los acontecimientos pronto podrían cambiar. ¿Tanto amor y pasión en un espíritu inestable? YOLE No temas, pues las ataduras están fuertemente anudadas y mi alma sólo es para ti. No veo cómo podría escapar. Pídeme la prenda que quieras de mi fidelidad. HÉRCULES Por lo tanto, dame tu mano y prométeme con firmeza que serás mi esposa. YOLE No me niego a ello, pero deja que con oraciones arcanas apacigüe el espíritu indignado de mi padre, para que así consiga su permiso para entregarme a ti. HÉRCULES Si eso es sólo una ceremonia pasajera, sí, sí, no me disgusta. Escena Quinta (Juno vuelve a aparecer por el aire en su carro con Sueño) JUNO Sueño, poderosa deidad, nuestra llegada aquí es oportuna. Como tú eres amigo de la inocencia, y esquivo a toda maldad, huyendo de ellas sin descanso vence, con las fuerzas de tu hermano, a la muerte. En este lugar se va a cometer el más atroz de los crímenes, pues Amor intenta un horrendo fraude. Ve rápido con tu vara mágica, que cerró los cien ojos siempre despiertos de Argos, y haz que Hércules caiga en un letargo profundo. YOLE ¿Qué inesperado sueño le impide a Himeneo que despose a mi prometido? JUNO ¡Yole, Yole, ah
levántate, levántate rápido y huye! Aléjate de ese lecho embrujado y acércate a mí, pues pronto te curarás del embrujo por el que tienes el alma sojuzgada. Toma, huele esta hierba que recogí en los jardines celestiales y cuyo olor medicinal hace desaparecer los hechizos. Curará al instante tu corazón del diabólico encantamiento. YOLE ¡Oh diva, oh diosa! ¿De qué horribles abismos de iniquidad resurjo? ¡Pobre de mí! ¡De qué errores soy responsable! Sin embargo, mi primer y único amor, que parecía extinguido cuando mi corazón estaba hechizado, me consume más que nunca con devoradoras llamas. Pero, ¿de qué sirve si Hilo mientras
tanto, mi único tesoro, con razón enojado conmigo, de mí huye y yo, sin ser culpable,
muero? JUNO ¡Ah Yole! ¿Por qué desperdicias tu preciado tiempo en pleitos y en superfluos lamentos de amor? Hilo, aconsejado por mí, tras ese arbusto está escondido y todo lo ve y escucha. Empuña este acero afilado, capaz de atravesar todo escudo y que, para mí forjó Vulcano. Mientras el vil Hércules está
prisionero por las ataduras de Sueño y privado de toda defensa, ¡ve y mátalo! Vengando así mis ofensas y tus
sufrimientos. Porque la vida no le dará otra oportunidad a Hilo. Ve, que yo regresaré a los cielos para relatarle los hechos a Júpiter y, con su ira, alcanzar la deseada corona
triunfal. Escena Sexta (Yole, Hilo, Hércules durmiendo y el
Paje) YOLE ¡Oh, alma grande de Éurito otorga ira a este corazón y fuerza a estos brazos frágiles, para que puede realizar este sacrificio como venganza sublime (venganza universalmente deseada) sobre esta víctima causante de tu
muerte. Recibe, ¡oh, padre mío! en la orilla ardiente del Flegetonte, la sangre de este malvado tirano, a quien sacrifico en tu nombre. HILO ¡Ay! ¿Qué estás haciendo?
¡Detente! YOLE ¡Ah, déjame! HILO ¡Ah, detente! YOLE ¡Déjame si me amas! HILO ¡Ah, yo soy tu amante pero también su hijo! YOLE ¡Ah, escucha! No lo odio como asesino de mi querido padre, compréndelo, sino como enemigo de nuestro amor. ¡Más que tu padre es tu enemigo! HILO Lo aplacaré, y si el llanto no fuera
suficiente, lo haré con mi muerte. (Hilo arrebata la daga a Yole y la blande decidido sobre sí mismo) YOLE ¿Y tan poco aprecias la esperanza de ser mi esposo ¡oh,
dioses! que por ella no valoras tu vida? Escena Séptima (Mercurio, volando, despierta a
Hércules y se va. Mercurio, Hilo, Yole, Hércules y
el Paje) MERCURIO ¡Despierta Alcides, y mira! HÉRCULES ¿Y dónde, oh hermosa? ¿Dónde estás? ¡Ah! ¿Otra vez tú, temerario e inoportuno
rival? ¿Con qué fin empuñas ese arma mortal? ¿Para quitarle la vida a quien injustamente te la dio? ¡Ah! Si tu impía osadía llega a tanto, es justo mi deseo de que tu vivir ingrato, que en hora mala te fue dado, ahora con justicia te lo quite. YOLE ¡Ay de mí, si hay algo de amor en tu interior, detente! HILO ¡Ah, padre! HÉRCULES ¿Con un nombre tan dulce aún me llamas? HILO No deseo seguir viviendo, y para mejorar mi suerte no deseo otra cosa que la muerte. El injusto e infame título de parricida rechazo. Sólo hay un pensamiento en mi alma; sea cual fuere, el martirio más cruel que encierre el Averno, agradeceré a Plutón. YOLE ¡Hércules, ah! He sido yo quien, para vengar la muerte de mi padre
Éurito y sustraerme de tus intrigas amorosas, ha tratado de matarte. Así pues, si matas a Hilo, como yo soy la causante de su muerte, haré justicia por mi propia mano y ahora mismo caer muerta me verás. Escena Octava (Deyanira, Licco, Hércules, Yole, Hilo y el Paje) DEYANIRA ¡Ah! ¿Qué veo? ¿Mi hijo en grave peligro? Será conveniente que me descubra. LICCO El cielo te guarde de hacer tal locura. Cuando, como es su costumbre, Hércules lo mate por capricho, tú podrás engendrar otros hijos; pero si nos mata a nosotros dos sería mucho peor, pues no habrá nadie que nos resucite. HÉRCULES Cuanto más tratas de salvarlo, más lo acusas y mientes. Pero, no obstante, es posible que tu crimen o incluso tu muerte sean mayor sufrimiento para mis celos que el que tú vivas. DEYANIRA ¡Ah bárbaro, despiadado! ¿No es suficiente que me quites tu
amor, sino que también quieres quitarme a mi
hijo? ¡Adelante, cásate con Yole, tortúrame todo lo que quieras, pero deja que nuestro hijo sea mi
consuelo! Si es inocente, ¿no debería ser justo su padre? E incluso siendo culpable, concédele esa gracia a su miserable
madre que te suplica en un mar de lágrimas. HÉRCULES Llegas en un mal momento. ¿Quién te trajo hasta aquí? LICCO ¡Licco no fue! ¿Quién me indica un escondrijo, aunque fuera la guarida de un lobo hambriento? HÉRCULES ¡Ambos moriréis! Añadiré un nuevo logro a mi larga fama: haber matado a una celosa esposa y a un hijo desleal. DEYANIRA ¡Ah, cruel! YOLE ¡Ah, escucha! Existe una posibilidad de que yo ceda a tu amor. Te aceptaré sólo si dejas vivir a Hilo. Si él muere, perderás toda tu esperanza; y si él vive, aún la habrá para ti. LICCO ¿Quién lo creería? El invencible domador de gigantes, que a los propios demonios ha vencido, ¡está enredado entre dos mujeres! HÉRCULES Si Hilo vive, ¿hay esperanza para mí? La esperanza siempre sobrevive en un corazón enamorado. (a Deyanira) ¡Vete, regresa a tu casa! (a Hilo) ¡Y tú, irás prisionero a la torre junto
al mar! ¿Qué prisión más segura existe para mis celos? Yole me ha pedido que no te mate, así conservaré mi esperanza. Escena Novena (Deyanira, Hilo) DEYANIRA Hijo, ¿tú prisionero? HILO Madre, ¿tú desterrada? DEYANIRA ¿Dónde se ha visto un padre con un corazón tan cruel? HILO ¿Y dónde se ha visto un esposo con un alma tan ingrata? DEYANIRA Hijo, ¿tú prisionero? HILO Madre, ¿tú desterrada? DEYANIRA Si no fuera tan cruel contigo, le perdonaría su infidelidad. HILO Si no te fuera infiel, quizás consideraría leve su crueldad. DEYANIRA, HILO Si no tiene compasión de ti, entonces la vida no significa nada para
mí. DEYANIRA Hijo, ¿irás a prisión? HILO Madre, ¿serás desterrada? DEYANIRA Hijo... HILO Madre... DEYANIRA, HILO Siempre me has demostrado tu amor, ¡ay! quiera el cielo que este no sea nuestro último abrazo. Escena Décima (Licco y el Paje) LICCO ¡Adiós, Paje! PAJE ¡Adiós, a todos! LICCO Hasta pronto, porque la mujer a la que Hércules pretende desterrar, nunca tuvo la costumbre de obedecer lo que se le ordenaba. PAJE ¡Oh, qué grandes cosas he visto! Todavía me siento horrorizado. LICCO El señor del amor, Cupido, se ha comportado como un embrollador. Contra tan pestífero gusano escucha y aprende, gentil muchacho, de esta canción. LICCO, PAJE Toda persona que tenga sentido común estará de acuerdo conmigo. Sólo los más estúpidos pueden confiar en Amor, pues toda la miel que él reparte se vuelve amarga y las más espléndidas alegrías o son falsas o cuestan demasiado. Pero así, con semejantes engaños, los ciegos y los ingenuos son felices. (El lecho encantado desaparece y los espíritus que se vieron obligados a sentarse en ella entran en las
estatuas del jardín, animándolas y
desarrollando la cuarta danza como final del tercer
acto)
ACTO CUARTO Escena Primera (La escena se transforma en un mar
sobre el que hay muchas torres, y en una
de ellas Hilo se halla prisionero) HILO ¡Oh! Las penas y los celos en un alma enamorada, hacen que se abandone a las sospechas y tema cada vez más al destino. Cuando Yole le dio esperanzas a
Hércules, apiadándose de mí, a cambio de mi vida, sentí como si me hubiera matado. Sólo la muerte puede hacer que no
padezca el recuerdo de esas palabras. HILO Pero ¿qué veo? Aquí llega un mensajero, que viene directo hacia mí, ¿Es mi paje?... ¡Es él! Escena Segunda (El Paje aparece navegando en un pequeño barquichuelo. El Paje e
Hilo) PAJE ¡Céfiros que deambuláis entre las flores de la orilla, arrebatad sus aromas y luego huid de aquí! Haced que ante mi proa el mar se calme hoy. También vosotras, grandes olas, cortesanas de la aurora, conocéis a Cupido, que de todo hace un juego y ahora me envía a esta orilla. A él entonces le convendría realizar mi trabajo, para que yo también pudiera volar. HILO ¿Qué noticias traes? ¿Buenas o malas? ¡Ah, pero qué digo, infeliz de mí! No me está permitido esperar buenas
noticias. PAJE Yole, finalmente obligada a casarse con el furibundo Alcides, con este mensaje me envía con premura a
ti. HILO ¡Dámela, pues! (lee la carta) "A tu fe traicionada le pido justo perdón, pues me entrego a Hércules para salvarte la vida". ¡Qué! ¿Salvarme la vida? ¡Ah, craso error! ¡Ah, esto es peor que la muerte! Vuelve rápido, ¡oh, dios mensajero! vuelve rápido y dile que, si muero, siendo ella constante en el amor, mi espíritu descenderá feliz al reino de los muertos. Nada podría hacerme más dichoso. Pero si ella se entregara a otro, por el dolor atroz de tan pérfida
acción, por mi propia mano me daré una muerte amarga y desconsolada. Sofocada y dolorida mi alma irá a las arenas infinitas del Estigia y allí vagará como un monstruo en pena. Dile que si al menos me es fiel en el amor, me dejaré matar por mi padre Alcides pero que, si me deja, será ella quien me mate. ¿Sabrás hacerle llegar estos lamentos? PAJE Espero que el mar proceloso no me impida volver. Mas ya parece que quiere devorarme. ¡Oh, dios de las algas, ven en mi
ayuda! (La tormenta avanza sobre el mar) Escena Tercera (Hilo solo) HILO Y entre los cardúmenes del mar ¿no hay un corazón, aunque gélido, que como Arión sienta alguna piedad de ese pobre muchacho y lo salve junto con mi esperanza? ¡Oh cielos, parece que el mar con cien fauces espumantes de rabia, no tiene otro furioso deseo que el de devorar a ese pobre muchacho! ¡Ah, dadle vuestra ayuda para enfrentar tan mortal peligro, oh
cielos! ¡Ay de mí! ¿Por qué os demoráis? (El Paje se hunde en el mar) HILO ¡Ah, el abismo se lo traga! ¿He de morir sin esperanza? ¿Quién podrá evitar que mi bella enamorada cumpla con sus necios propósitos? ¿En qué pienso? ¿Por qué tardo en morir sintiendo tan inmenso dolor? ¡Celestiales dioses de las aguas, recibid propicios a un desventurado
que, del cielo, de la tierra y de los
abismos, siempre en desigual contienda, viene a buscar en vuestras profundas
aguas el consuelo de la muerte! ¡Hilo, precipítate al mar! ¿Acaso temes a las orcas y ballenas? ¡Oh, habla! ¿Te espanta la imagen escuálida y
tétrica del que muere huyendo de los celos y nada lo detiene? Muramos pues, que el luminoso nombre de mi amado sol podrá iluminar las sombras más densas del profundo
tártaro. ¡Yole, Yole! (Hilo se precipita al mar) Escena Cuarta (Juno aparece en el aire, en un gran
trono, y desciende en ayuda de Hilo. Juno, Neptuno, Hilo) JUNO ¡Sálvalo, Neptuno, salva a ese joven temerario que suplicó tu ayuda! No se la niegues como hiciste con Leandro, el enamorado nadador de Abido. ¡Sálvalo, oh dios triforme! A Hércules, nuestro enemigo, no podemos hacerlo enfurecer más sino salvando de morir ahogado a su hijo. Como inicuo padre que es, como celoso rival, anhela la muerte de ese pobre joven. Viéndolo salvado por nosotros, redoblará su rabia y su vergüenza. ¡Ah! ¿No me oyes? ¿Me rechazas? ¡No esperes más favores de mi parte! ¿Se extinguió acaso tu antigua bondad? (Neptuno surge del mar en un gran caparazón tirado por caballitos de mar, y en él se ve a Hilo a salvo) NEPTUNO ¡Aquí está, oh diosa! ¿Estás satisfecha? No puedo negarme a lo que tú deseas; tampoco fue mi tardanza por negligencia sino debido a su negativa a seguir
viviendo. Es increíble que ya casi en las fauces voraces del insaciable inframundo, un mortal que no desea vivir, sea liberado. ¡Oh necio! ¿Por qué la muerte te resulta más atractiva que la vida? HILO El néctar más agradable para la garganta de un ser desesperado por la sed del amor es el agua del río Leteo. NEPTUNO ¡Oh, joven necio, escucha lo que Glauco cantaba para su propio deleite! Amantes que entre penas gritáis, ¡ay! ¿Por qué anheláis morir, por qué? ¡Ah, nunca dejéis de tener esperanzas! Mientras los cielos giren habrá nuevas oportunidades y los que hoy lloran, reirán mañana, pero para el que muere los cielos dejan de girar. ¡Necios! ¿Dónde está el consuelo de
morir? ¿Dónde está? ¿Y qué vale más que tu vida, qué? ¡Ah, un tesoro tan grande como ella no
existe! Ya sea bueno o malo el tránsito de las estrellas, no puede el destino cambiarlo para quien muere. JUNO Hilo, este dios habla muy sabiamente NEPTUNO Vete rápidamente con la gran diosa y agradece nuestros favores. (Hilo entra en el carro de Juno y Neptuno se sumergen el mar) Escena Quinta (Juno, Hilo, coro de Céfiros que bailan y tocan instrumentos) JUNO Entonces, ¿sólo tú desconfías de mis divinos poderes? HILO Diosa, ¿para qué ha de seguir viviendo un hombre que sufre? Pero, no obstante, te pido humildemente perdón, pues, aunque es doloroso seguir
viviendo, te agradezco el haberme salvado la
vida. JUNO No os está permitido a los mortales interferir en los altos designios del
destino, que cuanto más extraños más secretos. La visión del futuro, oculta al
principio, se nos muestra totalmente diferente al
final. Muchas veces os mostráis ciegos con vuestros juicios erróneos e
incompletos, presentándose la meta incompresible en vuestra desesperada ignorancia. Si pudierais comprender los inexplicables volúmenes escritos con piedras preciosas y polvo de
estrellas, podríais entonces saber por qué a veces la lluvia seca lentamente un prado y Sirio lo hace fértil con su cálido
aliento; por qué las olas en un pequeño estanque mantienen a flote la embarcación de
Jasón y por qué la barca de Tisi naufraga en aguas tranquilas; y por qué una tormenta lo lleva feliz al puerto. Vete y no pierdas la esperanza. No te abrumes, confía más en mí que en tus propias emociones. HILO Diosa, siempre, donde quiera que yo vaya, en el cielo o en la tierra, mi alma se encontrará dividida. Concertante HILO Sólo el amor reina como espejo del ardor honesto y los cielos desprecian que se emplee en otros su favor. Que los que persiguen afectos innobles vivan siempre en el dolor y se disipen de las almas nobles como la niebla al sol. JUNO Despido a las turbulentas y altísimas olas que el mar nos entregó. Céfiros fragantes, con suma alegría, volad hacia mí y con una danza graciosa venerad mi virtud, que siempre intrépida, a Venus ha vencido. (Hilo y Juno bajan al escenario y
luego ella regresa al cielo en su carro, mientras que los Céfiros, invitados
por Juno, desarrollan el ballet) Escena Sexta (La escena se transforma en un jardín de cipreses con tumbas reales. Deyanira y Licco) DEYANIRA ¿Y qué peores cosas me deparará el
destino? ¡Ah, deseo que mis tristes pasos me lleven a encontrar reposo bajo esas piedras, para satisfacer así mi destino
miserable! ¿Y qué peores cosas me deparará el
destino? He perdido a mi hijo y se acerca la
hora en que mi consorte se casará con otra
mujer. ¿No sería preferible morir? La muerte no me alcanzará con armas, pues ya las penas han destrozado mi corazón. ¿Y qué peores cosas me depara el
destino? Toma, fiel Licco, lo poco que queda de mis riquezas para que puedas pasar tus días sin preocupaciones. Procura, si puedes, enterrarme en una tumba desprovista de todo posible consuelo para que no pueda volver a mirar al
sol. LICCO ¡Ah, Deyanira! No me siento capaz de poder ayudarte ni como tesorero ni como sepulturero, si lo hiciera, podría ser acusado de asesino o ladrón y llevado ante el tribunal que me condenaría a la horca. De esa manera tendríamos un fin muy distinto: tú enterrada y yo pendiendo en el aire. ¡Ah, abandona Deyanira tan locas ideas! De todos los males que Pandora guarda en su caja: desastres, ruinas, penas, daños, dolores, aflicciones, angustias y sufrimientos te puedo decir que el peor dolor de
todos es la muerte. Pero, ¿qué cortejo fúnebre veo venir? ¡Escondámonos! Tal vez el rito lúgubre te sea grato. Escena Séptima (Yole con cortejo fúnebre, el
espíritu de Éurito, Deyanira, Licco, damas de Yole y plañideras) CORO ¡Acepta, oh rey, las cálidas lágrimas que esta muchedumbre, afligida, vestida de luto, y con el corazón doliente, derrama por ti! ¡Acepta, oh rey, que tu sepultura sea adornada con las flores silvestres nacidas en el bosque oscuro y rociadas con la sangre de una vaca sacrificada por manos piadosas! ¡Acéptalo, rey! YOLE Y si aún en la muerte la generosidad permanece, concédeme ¡oh padre!, puesto que fue en vano ¡ay de mí! el intento de vengarte, que yo ceda a la voluntad del destino y que no sea mi alma sino sólo mi desdichado cuerpo, el que entregue a ese tirano inicuo. Que más grata me sería la hoguera que el matrimonio. Sólo con oraciones podré soportar tal
yugo. CORO ¡Ah, del regio sepulcro surgen atronadores rugidos! ¡Ah! ¿Qué podrá ser? Todo tiembla y se estremece. (Se desmorona la tumba de Éurito y aparece su espíritu) ÉURITO ¿Qué sacrificios ingratos son estos? ¿Qué cantos insultantes me llegan? ¿Qué abominables ofrendas me hacen? ¿A mí? ¿Así se ultraja a Éurito? ¿Acaso me creéis tan frío e insensible? Haré bien en advertirle a ese ladrón y
asesino que también yo puedo enfurecerme. ¡Lanzaré contra él mi odio, la ira y la furia que siento! Entonces, quien derramó mi sangre de forma tan injusta, ¿aún pretende casarse con mi hija? ¡Ah, jamás! Y tú, hija, ¿podrás entregarte al hombre que me asesinó? YOLE La impía voluntad de Hércules he resistido hasta ahora, y seguiría resistiéndola con todas mis fuerzas si no fuera por Hilo. Hilo no fue nunca culpable ni cómplice de los agravios hechos a ti y a mí, por el contrario, siente una inmensa compasión por lo que te sucedió. Por Hilo, ¡ay! sólo por el peligro mortal que él corre, me veo forzada a consentir este aborrecido matrimonio. Es la única forma de evitar su muerte. Perdóname, ¡oh, padre! mi intención de consumar sagradas
nupcias, porque el amor, que no tiene leyes, quebranta toda voluntad y designio. ÉURITO Tanto poder invisible tiene el desnudo espíritu de Éurito que desprecia y ridiculiza la temeraria voluntad de su depravado enemigo, y al mismo tiempo salvará a su hijo inocente. DEYANIRA Éurito, permite que yo, la esposa de quien te mató y la madre de aquél a quien pretendes salvar, ¡ay de mí!, pueda compartir contigo mis amargas
penas. Para conservar a mi hijo, fui privada de un marido. ¡Oh, sacrificio vano! !Oh, vana esperanza! ¡Hilo ya está muerto! YOLE ¡Ay, qué dices! DEYANIRA Sobre un acantilado cercano a su prisión, esperé que alguna embarcación me llevara a compartir junto a él mi
dolor. Y de pronto lo vi, ¡ay! saltar desde lo alto de la torre al
mar. Y si no lo seguí fue porque tanto dolor, ¡ay! hizo que me desmayara y cayera al
suelo. Las manos de unos lugareños, con mal entendida piedad, me auxiliaron. ÉURITO Entonces, ¿qué otra cosa harás para provocar mi desprecio y escarnio? ¿O harás un execrable regalo de ti
misma entregándote a ese bárbaro? Mató a su primera esposa, abandonó a
otra, y el impío no perdona ni a su propio
hijo. ¡Vamos, sé valiente y arrepiéntete! Renuncia a tanto error mientras yo regreso al rio Cocito a respirar su humeante aire impuro. En sus orillas ardientes organizaré una conspiración con las almas de
aquellos a los que Hércules ha dado muerte. Ya verás que no hablo en vano cuando
digo que levantaré al inframundo contra él. (El espíritu de Éurito desaparece) YOLE ¿Hilo, mi amado, ha muerto? ¿Y pretenden que ante tanto dolor no
llore? Él, por amor a mí, desesperado se
suicidó. Ante tan clara muestra de su fidelidad, cada día tengo más claro que debo seguir sus pasos,
suicidándome. Ahora comprendo cuánto vale más la
muerte que todos los despojos mortales sometidos al capricho de la desdicha. Que digna morada del amor son los campos Elíseos, donde no existe ni la tiranía ni dolor de ningún tipo. ¡Esperadme queridas almas de Hilo y
Éurito! Corro feliz a reunirme con vosotras siguiendo vuestros hálitos. LICCO ¡Por favor, detente! Gracias a los dioses, el horrible espíritu ha regresado al abismo y yo he recuperado la voz. Quiero daros, agradecido, un consejo. Tengo la solución a vuestros problemas. ¿Qué mejor remedio que modificar los sentimientos de Hércules? Cuando él recupere el amor por su
esposa, ya no deseará desposarse con Yole. Decidme ¿hay remedio mejor? (a Deyanira) Veo que el dolor extremo te ha vuelto olvidadiza ¿Has olvidado la túnica que el centauro Neso te legó al morir? ¿No la recuerdas? Si logramos que Hércules se la ponga, únicamente amará a su esposa y no a
otra. DEYANIRA ¡Quién sabe si eso es cierto! LICCO Lo probaremos. YOLE Pero eso no hará revivir a Hilo. LICCO ¡Oh, qué extraña exigencia! Resucitar a un muerto parece más fácil que complacer a dos mujeres, De todos los imposibles el más grande es el de, por demasiada impaciencia, querer mover una montaña de un solo empujón, o hacer un puente a despecho de Júpiter para subir al cielo para afrentarlo. Podemos ir lejos avanzando paso a paso. Debemos concentrarnos en superar el gran obstáculo que supone tener que enfrentarse a Hércules. Y por otro lado ¿quién sabe si Hilo se arrepintió al caer al agua, se hizo más juicioso y, arrepentido, se salvó nadando hasta la playa? DEYANIRA,
YOLE, LICCO Un rayo de esperanza, ¡oh, qué mar de bendiciones! para un alma acostumbrada a languidecer siempre en el dolor. Un rayo de esperanza, aunque a veces sea mera ilusión, da nueva vida a las almas amedrentadas, obrando milagros aún con engaños y en contra de toda lógica. (Las doncellas de Yole se acercan
llorando a las ruinas de la tumba de Éurito.
Al ver cuatro espíritus se espantan. De
esta manera se desarrolla el ballet como final
del cuarto acto)
ACTO QUINTO Escena Primera (La escena se traslada al infierno. El espíritu de Éurito, coro de almas infernales, víctimas de Hércules.
Clerica, Laomedonte, Busiris) ÉURITO Ante el anuncio de mi llegada, ¿tan pronto acudís, espíritus osados, a la orilla del Aqueronte? ¡Unamos, contra el enemigo común, vuestra furia a mi ira! ¿A qué esperamos? ¡Muera el cruel enemigo! ¡Vamos, corramos a vengarnos! CORO ¡Que muera el cruel enemigo! ¡Vamos, corramos a vengarnos! CLERICA ¡Que perezca el indigno! Nunca se vio un malvado como él, que tras la sangrienta batalla contra los troyanos, no saciado aún de sangre, mató a mis pobres hijos y a mí misma. ¡Oh, qué gran heroicidad para un aniquilador de monstruos, emplear el vigor otorgado por el cielo contra unos tiernos hijos y una madre indefensa! ¡Ah, jamás se vio un ser tan monstruoso como él! Y si el cruel enemigo, por nuestra mano hoy muere, un sacrificio más grato a los cielos jamás habrá sido ofrendado. ¿Qué estamos esperando? ¡Que muera el cruel enemigo! ¡Vamos, vamos a vengarnos! CORO ¡Que muera el cruel enemigo! ¡Vamos, vamos a vengarnos! LAOMEDONTE Que muera ese perverso que, por un acto de impiedad entre los muchos de sus bárbaras
proezas, como un mercenario cobarde, no solo pidió rescate sino que se vengó de mí, en su insaciable sed de sangre, matándome a mí y a muchos más. ¡Vayamos a desmembrarlo! ¡Vamos, matémoslo! Es de justicia que él pague ahora todo el dolor ajeno que causó, con su propio dolor. ¿Qué estamos esperando? ¡Que muera el cruel enemigo! ¡Vamos, vamos a vengarnos! CORO ¡Que muera el cruel enemigo! ¡Vamos, vamos a vengarnos! BUSIRIS ¡Que muera el inicuo! Quien fue ingrato al etéreo Júpiter, tan ingrato que siendo su hijo
legítimo, con sus sacrílegas manos despojó a los sacerdotes y altares de las ofrendas más dignas. Que perezca el abominable; y, para ejemplo eterno, sufra la muerte más cruel que jamás pueda inventar el infierno
airado. Todas las víctimas que en los espacios oscuros reunió Plutón, todas juntas, se unan a nosotros y ataquen a quien las agredió. ¿Qué estamos esperando? ¡Que muera el cruel enemigo! vamos, vamos a vengarnos! CORO ¡Que muera el cruel enemigo, ¡Vamos, vamos a vengarnos! ÉURITO Si en el mundo terrenal, favorecido por el injusto cielo, prevalece su existencia corporal sobre nuestros restos mortales, ahora deberá soportar, para escarnio de su orgullo, la humillación a la que le someterán nuestras almas vengativas. Si permitimos que el tirano viva impunemente en paz, creerá con razón, que los reinos de Plutón son lugares
ociosos llenos de espíritus tímidos y
negligentes. ¡Vamos, espíritus terribles, volemos todos a Ecalia! Que una escuadra de furias invisibles en el cielo se alce contra el reo, y con las víboras con las que Tesifone atormenta las almas, flagelemos su corazón hasta que el inmenso dolor y la
angustia lo dejen exánime. CORO ¡Tomemos las armas! ¡Vamos, corramos a vengarnos! ¿Qué otra cosa podemos hacer? ¡No permitamos que nuestros gritos de guerra se ahoguen aquí abajo! ¡Vamos! ¡Tomemos las armas! ÉURITO ¡Más vale y es más amada una venganza, que cuántas alegrías hay en el cielo! CORO ¡Más vale y es más amada una venganza, que cuántas alegrías hay en el cielo! Escena Segunda (La escena cambia en un pórtico del templo de Juno Pronuba. Hércules, Yole, Licco, Deyanira, coro de
sacerdotes de Juno Pronuba) HÉRCULES Por fin el cielo se ha serenado y se muestra favorable al amor. Ya las nubes de la inquietud se transformaron en alegrías, sólo en mi corazón sigo sintiendo un dulce martirio a causa de la lentitud del tiempo. Estoy impaciente. ¡Pero mi amada Yole, mi amado sol, aquí llega! En mi corazón se despeja de la pena, pues poseo su alma cual trofeo de
guerra. Mi espíritu ardiente pospone todos los laureles a tan hermoso fruto. LICCO (a Yole) Cuando la ocasión sea propicia, entrega esta túnica a Hércules como prenda del rito nupcial. Cuando llegue el momento, la podrás tomar fácilmente de mis
manos. YOLE Eso haré, mas temo fracasar al quedar mi corazón paralizado por el miedo. Si las cosas no salen como lo
planeamos, este veneno será mi socorro. HÉRCULES ¡Ven, Yole, no retrases tus pasos, hacia el amo del mundo! Sólo ansío imperar sobre tu alma y en ello baso mi felicidad. Que la ceremonia nupcial se desarrolle de inmediato, pues toda demora se transforma en cruel impaciencia. CORO ¡Oh, Pronuba! ¡Oh, casta diosa! Une las almas de los contrayentes con lazos benditos, venturosos y sagrados. Concédeles tan larga vida como al sabio anciano Néstor, y enriquécelos con una progenie infinita. HÉRCULES ¿De qué tienes miedo, Yole? ¿Por qué tiemblas? YOLE Es que mi vida está llegando a su punto culminante. HÉRCULES Dame esa preciosa túnica para ofrecérsela a los dioses y así conseguir que bendigan nuestra unión. CORO ¡Oh, Pronuba! ¡Oh, casta diosa! Une las almas de los contrayentes con lazos benditos, venturosos y sagrados. Concédeles tan larga vida como al sabio anciano Néstor, y enriquécelos con una progenie infinita. HÉRCULES (después de ponerse la túnica) Pero, ¿qué intenso dolor abrasa mi curtida piel? ¿Qué mal desconocido lanza serpientes por mis venas hacia el corazón? ¿Qué inmenso dolor, ¡ay! me invade? La muerte es para mí mucho más penosa cuando estaba por cumplir mi deseo. ¡Oh, dios, padre mío! ¿Tú lo permites? ¿Permites que yo, que con pie temerario transité ileso por el inframundo, y que desde la cuna vi mis días colmados de hazañas gloriosas, deba perecer ahora sin enfrentarme a un enemigo sanguinario? ¡Ah! ¿Qué cruel martirio hace que mi muerte sea tan dolorosa? ¿Debo morir vilmente, sin luchar? ¿Sin que ninguna gloria, digna de mí, acompañe mi muerte? Al menos, que las nubes oscuras me cubran y me oculten, para que mi triste destino permanezca invisible a los ojos de mi implacable y cruel madrastra,
Juno. ¡Oh, dios del trueno! ¿Por qué te demoras en destruir el universo? ¡Ay de mí!¿Por qué no actúas? ¿Por qué preservas el cielo si al perder a Alcides vas a perderlo? El dolor atroz que me martiriza, apenas me permite respirar. ¡Ah! Si he de morir, que mi cuerpo lo devore el fuego, puesto que la tierra no ha de aceptarme al haber matado a tantos de sus hijos. ¡Adiós, cielos! ¡Adiós, Yole! ¡Aquí estoy, Plutón! LICCO ¿Qué me decís? El mío no ha sido un remedio lento, sino más drástico de lo que yo creía. Ambas estáis contemplando satisfechas el doloroso fin de un amante maligno y de un marido culpable. Y no os lamentéis más, pues lo que desean los corazones sabios es vivir en paz y libertad. YOLE Como aquél que se salva de peligros extremos y horrorosos
estragos, quedando totalmente atontado, así, yo también me he quedado paralizada y sin voz. ¡Ah! ¿Por qué mi amado Hilo ha muerto? DEYANIRA ¡Ah, Neso me traicionó! Que los cielos te perdonen ¡oh, Licco! por esta acción involuntaria. No puedo soportar dos veces la terrible pérdida de Hércules. Muéstrame ¡oh, muerte! las huellas de mi hijo y de mi esposo. Pero ¿qué es esto? El espíritu de mi hijo se me acerca y me sonríe. Escena Tercera (Yole, Deyanira, Licco, Hilo) YOLE ¿Estoy viendo o me parece estar viendo? ¡No esperaba esta felicidad! ¡Ah, mi corazón no se atreve a confiar en lo que mis ojos ven! DEYANIRA ¡Oh! ¿Qué alivio tan oportuno? LICCO ¡Oh, qué espanto! YOLE ¿Hilo? DEYANIRA ¿Hijo? DEYANIRA, YOLE ¿Eres tú? HILO Gracias a Juno fui rescatado del mar, pero mi corazón está bañado por un mar de lágrimas pues, si lo que veo es cierto, mi amado padre ha sufrido una horrenda muerte. DEYANIRA ¡Ah hijo, eso es muy cierto, ahora soy una viuda afligida y
solitaria! YOLE Consuélate Hilo, que si perdiste a tu cruel padre me encontrarás aquí a mí, y a mi fiel
amor. HILO ¡Ah! ¿Acaso el cielo no puede darme la plena felicidad? ¡Soy un miserable desventurado junto a mi madre! LICCO ¡Oh, bienvenido! HILO ¡Ay! Con igual fuerza y al mismo tiempo la alegría y el dolor compiten en direcciones opuestas, y siento que mi corazón se desgarra. DEYANIRA ¡Ay! ¿Qué será de mí? LICCO Cuando la muerte empuña su guadaña homicida, a unos atormenta, a otros pasa inadvertida y a la mayoría enluta. Pero a pesar de que alguien muera, tarde o temprano todos se consuelan. DEYANIRA Al menos las cenizas de Alcides serán honradas con el más digno de los
ritos y regadas con lágrimas y flores. HILO Es cierto, mis sollozos no tendrán fin. YOLE Pero que no solo tú llores, amado mío, porque si mi corazón es tuyo, el dolor también se comparte. LICCO Y ahora ¿cuál será mi destino? Que, sin pretenderlo, yo también debería sentirme compungido. DEYANIRA, YOLE, HILO, LICCO Desde el poniente al oriente ¡ah! que todos derramen sus lágrimas, que hoy el más excelso de los héroes ¡ay de mí!, yace extinto. Escena Cuarta (Desciende Juno en su carro
celestial rodeada por las esferas celestres.
En lo alto, aparece Hércules, desposado con la Belleza (Hebe). JUNO ¡Arriba, regocijaos, alegría! ¡No más lamentos! ¡Alegría! Que todas las amarguras el cielo las ha transformado en plena dicha y total dulzura. ¡No más lamentos! ¡Vamos, regocijaos todos! ¡Alcides no murió! ¡Secad vuestras lágrimas! ¡No, él no murió! Los cielos sonríen porque el rey de los dioses lo ha desposado con Hebe, la diosa de la belleza. ¡Secad vuestras lágrimas! ¡Vamos, vamos, alegría! Dejadas por fin de lado las preocupaciones mundanas, liberada el alma de todos los celos, lo que aquí abajo desprecia, allá arriba lo ansía. ¡Vosotros, jóvenes amantes, oficiad los antiguos ritos, disfrutad felices y gozosos para que así él comparta en el cielo vuestra dicha! (a Hilo y Yole) Para que se cumplan los deseos celestiales, a vuestro matrimonio sólo le faltan las fiestas. Así pues, almas castas y felices, os otorgo mis más dulces nudos
insolubles, que os unirán para siempre en el amor. ¡Que vuestras manos se unan junto con vuestros corazones! Si el justo Júpiter no bendice un amor verdadero, ¿para qué reserva su poder? YOLE, HILO ¡Oh diosa, cómo nos colmas de alegría! DEYANIRA No nos es lícito negarle a tus palabras credibilidad y respeto. ¡Oh diosa, cómo nos colmas de alegría! YOLE, HILO Qué dulce alegría, ¡oh, diosa! derramas en nuestro pecho. ¿Acaso el cielo benigno puede concedernos algo más hermoso? ¡Qué dulce alegría nos otorgas, oh
diosa! LICCO Como de costumbre, después de las desgracias llega la
dicha. De hecho, las penas y las alegrías danzan tomadas de la mano. JUNO, DEYANIRA, YOLE, HILO, LICCO Frente a dos ardientes corazones de sendos enamorados, en vano el cielo puede oponer resistencia. Los vínculos del amor vencen el furor del destino y a toda suerte contraria, Nada es más fuerte que el amor
recíproco. Ballet Escena Quinta (Hércules, Belleza (Hebe), coro de
planetas) CORO ¡El gran héroe, Hércules, que en la tierra tanto sufrió, en el cielo se ha unido con Hebe. Los virtuosos que sufren, merecen finalmente hallar misericordia y un lugar digno en la eternidad. Ballet HEBE, HÉRCULES Así, un día sucederá que, remontando la ribera del Sena dichoso, otro apasionado Alcides francés gozará en paz con una belleza Ibérica. Todos nosotros recibiremos la gracia celestial de vivir en paz bendecidos por esta pareja. LA BELLEZA (HEBE) ¡Alegrías, acudid prestas, pues vosotras bien sabéis colmar los corazones de dicha! La juventud es efímera y se marchita con el tiempo. ¡Bendecid este himeneo real! Él está hecho para vosotras como vosotras estáis hechas para él. Conservad el fuego que el amor donó, no dejéis decaer vuestra dulzura a fin de que seáis siempre bien
recibidas. TODOS Los virtuosos que sufren, merecen finalmente hallar misericordia y un lugar digno en la eternidad. Ballet (Los siete planetas se suceden en el baile, y finalmente, también
lo hace un grupo de estrellas)
Digitalizado y traducido por José Luis Roviaro 2021
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