LA CALISTO

 

 

 

Personajes

 

CALISTO

ENDIMIÓN

JÚPITER

MERCURIO

DIANA

LINFEA

SÁTIRO

PAN

JUNO

SILVANO

                           Muchacha devota de Diana

                          Pastor enamorado de Diana

                                Dios de los dioses

                     Dios, compañero de jarana de Júpiter 

                                Diosa de la castidad

                        Vieja ninfa al servicio de Diana

                                       Joven sátiro

                               Dios de los pastores

                            Diosa, esposa de Júpiter

                              Dios de los bosques     

                       Soprano

                  Contratenor

                             Bajo

                            Tenor

                        Soprano

                        Soprano

                  Contratenor

                  Contratenor

                        Soprano

                              Bajo

 

 

La acción se desarrolla en Pelasgia, región del Peloponeso,
posteriormente llamada Arcadia por Arcade, hijo de Júpiter y Calisto.

(Al final de la trama, Júpiter transforma a Calisto en la constelación de la Osa Mayor)

 

PROLOGO                            


(L'antro de L'eternità)

LA NATURA
Alme pure, e volanti,
che dal giro,
che forma il serpe eterno
annodando i principi,
uscir dovete,
scese, giuste sedete,
fatte aurighe, al governo
de corpi misti,
e post'il freno al senso,
i spazi della vita
correte illustri,
acciò virtù su 'l dorso
qui vi ritorni,
terminato il corso.

L'ETERNITÀ
Chi qua sale
immortale vive vita infinita,
divinizza la Natura.
Ma sassosa
faticosa è la via,
che qui invia,
è la strada alpestra, e dura.

LA NATURA E L'ETERNITÀ
Il colle d'Alcide
conduce quassù
eccelsa virtù
a quest'alta cima i spirti sublima.

IL DESTINO
Gran madre, ottima duce,
antica augusta
produttrice ferace
di ciò, che dentro gl'elementi ha vita;
perché resti scolpita
nell'antro adamantino
tua nobile fattura
quivi ascende il Destino.

LA NATURA
Immutabil garzone
più vecchio di Saturno e più di me,
entra, che 'l varco non si vieta a te.

IL DESTINO
Diva, che eterni, e divi
con stellati caratteri nel foglio
del sempiterno i nomi
noti, e scrivi; dal serpentino
tuo sferico foglio
eternizza Calisto.
Al firmamento,
nova forma s'accresca,
ed ornamento.

L'ETERNITÀ
Chi la chiama alle sfere?
Qual merto l'immortala?

IL DESTINO
Il mio volere.
Non si chiede ragione
di ciò, che 'l fato termina, e dispone,
sono i decreti miei
arcani anco agli dèi.

L'ETERNITÀ, NATURA, DESTINO
Calisto alle stelle.
Di rai scintillanti
i vaghi sembianti
s'adornino eterni.
Ai poli superni
s'accreschin fiammelle.
Calisto alle stelle.


ATTO PRIMO



Scena Prima

(Selva arida)

GIOVE
Del foco fulminato,
non stempraro le fiamme
delle sfere i zaffiri;
ogn'orbe è intero.
Ben l'infimo emisfero
serba caldi vapori, ancora ardente,
già la terra languente
con mille bocche, e mille,
chiede, febbricitante, alti soccorsi,
abbandonati i corsi
nell'urne lor s'hanno racchiusi i fiumi.
Esalazioni, e fumi
mandano al cielo inariditi i prati,
e sfioriti, e schiomati
vivono a pena i boschi.
Or tocca a noi
ch'avem del mondo,
e provvidenza, e cura
ristorar gl'egri,
e risarcir natura.

MERCURIO
Tu padre, e tu signore
delle cose composte, ed increate,
tu monarca del tutto,
all'arido, al distrutto.
Dalle cime beate
dell'Olimpo sublime
tornar le pompe prime,
e le sembianze belle
potevi pur senza lasciar le stelle.
Tem'io, che qui disceso,
invece d'apportare al mal ristoro
non uccidi il penante, e in modi novi
non distruggi, e rinnovi
la progenie
de' sassi depravata.
Più che mai scellerata
l'umanità,
tra vizi abominandi,
il folgore disprezza,
e tu ch'il mandi.

GIOVE
Pria si renda il decoro alla gran madre,
che poscia con le squadre
de' ribelli, e nocenti
di Licaon rinnoverò gl'esempli.
Ma Mercurio, chi viene?
Qual ninfa arciera
in queste parti arriva?
Oh, che luci serene,
più luminose non le vidi mai:

MERCURIO
Del re è cangiato in lupo,
di Licaone appunto.
Ch'ulula per le selve il suo misfatto
è costei prole illustre, e d'arco armata
segue la faretrata
Cinzia severa, e anch'ella,
rigida quanto bella,
non men del casto, e riverito nume,
della face amorosa aborre il lume.

GIOVE
Semplici giovanette
votarsi all’infeconda,
e per le selve disumanarsi
in compagnia di belve.

Scena Seconda

CALISTO
Piante ombrose
dove sono i vostri onori?
Vaghi fiori
dalla fiamma inceneriti,
colli, e liti
di smeraldi già coperti
or deserti
del bel verde, io vi sospiro:
dove giro,
calda, il piede, e sitibonda,
trovo l'onda
rifuggita entro la fonte,
nella fronte
bagnar posso, ho 'l labbro ardente.
Inclemente:
si chi tuona arde la terra?
Non più Giove, ah non più guerra.

MERCURIO
Dell'offese del foco
la bella ti fa reo.

GIOVE
Cillenio, ahi che poteo
un raggio di quel bello
la mia divinità render trafitta.
Caramente rubello
al suo fattor, quel viso,
se potessi morir, m'avrebbe ucciso.

MERCURIO
Scendesti per sanare,
e fisico imperito
l'egra t'inferma:
nel smorzar a pieno
il colpevole ardor, t'accendi il seno
con fiamme di Cocito.

CALISTO
Da questa scaturigine profusa
son l'acque anco perdute.
Refrigerio, e salute
alle viscere mie chi porgerà?
M'arde fiero calor,
e per me stilla di salubre umor
il torrente, la fonte, il rio non ha.

GIOVE
Scenderanno da cieli
per ricrearti, o bella
le menti eterne,
e quasi serve a gara
t'arrecheran l'ambrosia, a dèi sì cara.
Vedi della sorgente
in copia scaturir fredd'i cristalli.
Della tua dolce bocca amorosetta,
vaga mia languidetta,
nell'onda uscita immergi i bei coralli.

CALISTO
Chi sei tu, che comandi
all'acque, o meraviglie alte, inaudite,
e dai lor centri ad irrigar le mandi
le sponde incenerite?

GIOVE
Chi sa cose maggiori
far con un cenno. Gl'astri, e gl'elementi,
struggendo, rinnovar posso in momenti.
Giove son io, che sceso
dal ciel per medicar la terra, ch'arde,
dal foco de' tuoi rai mi trovo acceso.

MERCURIO
Arciera vezzosa
ricorri amorosa
di Giove nel sen.
L'Empireo seren
de'dolci tuoi baci
per premio darà.
Delizie veraci
tuo spirto godrà.

GIOVE, MERCURIO
Di Giove nel sen
arciera vezzosa
ricorri amorosa.

CALISTO
Dunque Giove immortale,
che protegger dovrebbe,
santo nell'opre, il virginal costume,
acceso a mortal lume,
di deflorar procura
i corpi casti, e render vani i voti
di puri cori,
a Cinzia sua devoti?
Tu sei qualche lascivo, e la natura
sforzi con carmi maghi ad ubbidirti.
Girlandata di mirti
Venere mai non mi vedrà feconda.
Torna, torna quell'onda
nello speco natio,
che bever non vogl'io
de' miracoli tuoi
libidinoso mago.
Resta co' tuoi stupori. Addio mio vago.

Verginella io morir vo'.
Stanza, e nido per Cupido
del mio petto mai farò.
Verginella io morir vo'.
Scocchi amor, scocchi se può
tutte l'armi per piagarmi,
ch'alla fine il vincerò.
Verginella io morir vo'.

Scena Terza

GIOVE
Come scherne acerbetta
le lusinghe costei del dio sovrano,
e di ridurla amante
l'onnipotenza mia non è bastante,
che libero creai l'animo umano.
Tu Mercurio facondo,
che con detti melati
persuadi, ammorbidisci, or corri, or vola
dietro la fuggitiva
e rendendola priva
del casto orgoglio,
il tuo signor consola.

MERCURIO
Altro, che parolette
vi vogliono a stemprare
di queste superbette
pertinace 'l rigor. Donna pregata
più si rende ostinata.

GIOVE
Dunque, che far degg'io
per dar ristoro all'amoroso affanno.

MERCURIO
Seguire il mio consiglio, usar l'inganno.

GIOVE
E come?

MERCURIO
Della figlia,
della silvestre dea prendi l'imago,
e sotto quel sembiante,
amatore ingegnoso,
godi l'amata ascoso
non fuggirà gl'amplessi
la rigida romita
della diva mentita.

GIOVE
Ben delle frodi sei
artefice sagace, inventor raro.
Potrà il rimedio tuo Mercurio caro,
felicitar gl'amori al re de' dèi.

MERCURIO
Non s'allontani dalla fonte il passo,
ch'ancora qui verrà questa ritrosa
la sete ardente ad ammorzare al sasso:
fa', ch'ogn'altr'onda, anco dimori ascosa.

GIOVE
Chiuso in forme mentite
Giuno non saprà già le mie dolcezze,
e se note le fian garrisca in lite,
che sì dolce contento
non lascerei per cento garre, e cento.

Scena Quarta

CALISTO
Sien mortali, o divini
i lascivi partirò;
ed io, ch'indarno aggiro
sitibonda, anelante
il piè per il contorno
a ber qui l'acque scaturite: e or torno;
oh, come pochi sorsi
del dolce, e freddo umore,
m'estinse con l'ardore
quell'ingordo desio,
che volea diseccar
l'onde d'un rio.
Di questo ghiaccio sciolto
fatto lavacro al volto,
e in lui le braccia immerse,
i bollori del sangue raffreddai.
Grazie alla fonte,
ogni languor sanai.
Non è maggior piacere,
che seguendo le fere
fuggir dell'uomo
i lusinghieri inviti:
tirannie de' mariti
son troppo gravi,
e troppo è il giogo amaro
viver in libertade
è il dolce, il caro.
Di fiori ricamato
morbido letto ho il prato,
m'è grato cibo il mel,
bevanda il fiume.
Dalle canore piume
a formar melodie
tra i boschi imparo.
Viver in libertade
è il dolce, il caro.

Scena Quinta

MERCURIO
Chi non ti crederebbe
agl'arnesi, alla forma al portamento,
la dèa del ciel d'argento.

GIOVE
(in Diana)
Ecco l'orgogliosetta
colta incauta ne' lacci.

MERCURIO
Rispettoso amator
che non l'abbracci?

GIOVE
(in Diana)
O decoro
del mio coro,
verginella
più, che bella,
tanto lungi alla tua diva?
Di te priva
perdo il lieto
delle prede, e mai m'accheto.

CALISTO
O Febea
mia gran dèa,
dèa, che impera
alla sfera,
che circonda al foco il giro,
mi partirò
dal tuo lato
belve ree, nume adorato.

GIOVE
(in Diana)
Or l'amarezza
della dimora,
bella, ristora
con la dolcezza
de' baci tuoi.

CALISTO
Quanti ne vuoi
te ne darà,
te n' porgerà,
devoto il labbro,
che d'invocare
ha per costume
sempre il tuo nume.

GIOVE
(in Diana)
In ricovro più ombroso,
in loco più frondoso,
al mormorar, che fa l'umor cadente
di trovata sorgente
più limpida di questa, e più gelata,
a baciarsi le bocche
portiam, seguace amata.

CALISTO, GIOVE
A baciarsi andiam, sì, sì.
Sien del dì
liete al core
tutte l'ore,
col goderle in dolci paci.
Non s'indugi, a' baci, a' baci.

Scena Sesta

MERCURIO
Va' pur, va' pur, va' seco,
ch'altro, che suon
de' casti baci, e puri
pubblicherà per la foresta l'eco.
Va' pur, va' pur, va' seco.
Se non giovano,
se non trovano,
le preghiere, e i vostri pianti,
nelle ingrate
adorate cortesia, sentite amanti,
ricorrete alla frode,
ch'ingannatore amante, è quel, che gode.
Le blandizie,
le delizie
di Cupido a ladro ingegno
più condite,
saporite,
son più grate, io ve l'insegno.
Ricorrete alla frode,
ch'ingannatore amante, è quel, che gode.

Scena Settima

(Foresta)

ENDIMIONE
Improvvisi stupori;
nascono a gara i fiori,
germina il verde, e veste
per l'aride foreste
ogni pianta di fronde
ombrose manto.
Il Ladon, l'Erimanto
sgorgando i chiusi umori,
di novo van precipitosi al mare:
io nelle doglie amare
refrigerio non sento,
e di secche speranze
il verdeggiar dispero;
divorator severo,
mentre, che gode
il mondo i suoi ristori,
mi moltiplica
il foco
in sen gl'ardori.
Solo al correr de' fiumi
corre il mio pianto,
e sempre ho le fiamme
nel cor,
l'acque ne' lumi.
Ma lasso me, che miro?
Se n' viene il mio sospiro.
Serenati o core,
e quelle bellezze,
che spirano asprezze,
furtivo amatore,
contempla, e ristora
con qualche diletto
quel duol, che nel petto
ti cova la morte.
Divina mia sorte
al tuo bel sembiante
respira il penante.

Scena Ottava

DIANA
Pavide, sbigottite
dalle fiamme piovute
nelle caverne lor, seguaci arciere,
stanno ancora le fere;
onde senza speranza i passi nostri
traccian de' boschi i mostri.

LINFEA
Costrette dalla sete
verranno al rio corrente,
pria, che nell'occidente,
il luminoso tuo german tramonti.
Sui declivi de' monti,
sui sentieri della selva
attendiamole al varco:
scoccherem pria,
ch'imbruni i strali, e l'arco.

DIANA
Ohimè, vedo il mio bene,
quel ben per cui beata io vivo in pene.

ENDIMIONE
Occhi non v'abbagliate
a quei raggi d'argento,
vi prego resistete,
ch'or mediche discrete
mi tolgon quelle luci ogni tormento.

DIANA
Pastorello gentile
errar per la foresta
fere veduto avresti?

ENDIMIONE
Colmo di casi mesti,
fisso ne' miei pensieri,
punto da interni morsi,
fatto cieco dal pianto,
belve, diva, non scorsi.

DIANA
Tu, che la gloria sei dell'Erimanto,
tu, che della mia sfera i volubili moti
dotto investigatore osservi, e noti,
tu nel verde degl'anni,
nutrisci tanti affanni?

ENDIMIONE
Son martire felice,
e l'anima languendo
adora, e benedice
la cagion del suo male.
Sia la piaga immortale,
come nel petto mio nascer io sento
dalla doglia il contento.

DIANA
Agl'effetti, che narri
del soave dolore,
il tuo tiranno è Amore.

ENDIMIONE
Amor, né mi querelo
delle sue rigidezze, e del mio foco
l'origine divina ogn'ora invoco.

MERCURIO
Da peste cos'impura
infetto questi il seno
sparisca in un baleno.
Di qua 'l piede allontana
servo d'affetto reo,
nemico di Diana.

DIANA
Come, come costei
interrompe importuna i piaceri miei.
Dura necessità,
rigorosa onestà
vuol, che rigida io sia
verso l'anima mia.

MERCURIO
A partire anco tardi?
Ti scacceranno i dardi.

DIANA
Fuggi da casti oggetti
misero affascinato;
de' tuoi sospiri il fiato
non contamini, sozzo, i nostri petti.
Fuggi da casti oggetti.

ENDIMIONE
Parto, e porto partendo
tacito idolatrante, occulto vago,
fissa nel cor l'imago,
che delle mie fortune
l'orrido rasserena:
lieto nella mia pena
mi udran le piante, gli augelletti, i venti
a formar questi accenti
amante pellegrino
amerò benché fiero, il mio destino.

Scena Nona

DIANA
Non è crudel ben mio,
chi da sé ti discaccia;
pari fiamma m'accende,
m'al mio destin contende
votata castità.
Va' pur mio foco, va'
che se tu adori il mio divin t'adoro,
e per te, nata eterna, ogn'or mi moro.

MERCURIO
Come chiude nel petto
costui l'amaro, il dolce,
il tormento, il diletto,
e un strano misto fa d'allegria, e tristo.
Se ne viene Calisto.

Scena Decima

CALISTO
Piacere maggiore avere non può
un core s'in ciel
andasse volasse,
di quel, che l'alma mia gustò,
ma cosa sia, non so.

DIANA
Onde cotanto allegra
regia mia verginella?
Ardita nella selva
in aspra, e fiera belva
insanguinasti il dardo, o la quadrella?

CALISTO
Giubilo immenso, e caro
le dolci labbra tue
nel petto mi stillaro.
Fur pure, o dio, soavi
quei baci, che mi desti o dea cortese,
ma la mia bocca il guiderdon ti rese.

DIANA
E quando ti baciai?

CALISTO
Quando? Lucidi rai
or, or lasciaste meco
nel primo orror lo speco,
e in spazio così breve
le dolcezze scordate
delle beltà baciate?

LINFEA
Impazzita è costei.

DIANA
Che parli tu di speco,
di dolcezze godute,
di baci dati, e resi?
Vergine più scorretta io non intesi.

CALISTO
Ohimè forse ti schivi
diletta, amata dèa,
ch'oda, e sappi Linfea
i fruiti piacer, perch'anc'a lei
partecipar tu déi
della tua bocca i favi
sì grati, e sì soavi.
Ti prego non stancare
quei celesti rubini
altre labbra in baciare:
a me serba indefessi
i vezzi, i baci.

DIANA
Taci lasciva, taci.
Qual, delirio osceno
l'ingegno ti confonde?
Come immodesta, donde
profanasti quel seno
con introdur in lui sì sozze brame!
Qual meretrice infame
può dei tuoi, disonesta,
formar detti peggiori?
Esci dalla foresta,
né più tra i casti, e virginal miei cori
ardisci conversar putta sfrenata:
dal senso lusinghier contaminata;
va' fuggi, e nel fuggir del piede alato
t'accompagni il rossor del tuo peccato.

Scena Undicesima

CALISTO
Piangete, sospirate
luci dolenti,
spirti innocenti:
allettatrici ingrate
le mie bellezze, ohimè,
mi son rubelle, ed io non so perché.

LINFEA
Calisto, qual pensiero
t'appanna il senno? Eh torna
della ragion smarrita in sul sentiero.

CALISTO
Nel vago seno accolta
abbracciata,
fui baciata
più d'una, e d'una volta.
Or la baciante, ohimè,
il bacio nega, ed io non so perché.

Scena Dodicesima

LINFEA
Interprete mal buona
son di questa libidine,
che l'orme di cupidine
mi sono ancora ignote;
e se ben mi percote
lo stimolo d'amore
dolcemente talora,
l'inesperto mio core,
pure agl'impulsi suoi resisto ancora.
Mah, mah. Lo vorrei dire,
e temo di parlare. Eh chi mi sente?
Così non credo di voler morire.
L'uomo è una dolce cosa,
che sol diletto apporta,
che l'anima conforta;
così mi disse la nutrice annosa.
In legittimo letto
forse provar lo vo'.
Un certo sì mi chiama,
e sgrida un no.
Mi sento intenerire
quand'ho per oggetto
qualche bel giovanetto;
dunque, che volontaria ho da languire?
Voglio, voglio il marito,
che m'abbracci a mio pro.
Al sì m'appiglio, e do ripudio al no.

Scena Tredicesima

IL SATIRINO
Ninfa bella, che mormora
di marito il tuo genio?
S'il mio sembiante aggradati
in grembo, in braccio pigliami,
tutto, tutto mi t'offerò.

MERCURIO
Sì ruvido consorte
ch'avessi in letto mai, tolga la sorte.

IL SATIRINO
Molle come lanugine,
e non pungenti setole
son questi peli teneri,
che da membri mi spuntano:
neppur anco m'adombrano
il mento lane morbide,
ma sulle guance candide
i ligustri mi ridono,
e sopra lor s'innestano
rose vive, e germogliano.
Questa mia bocca gravida
di favi soavissimi,
ti porgerà del nettare.

LINFEA
Selvaggetto lascivo
ti vedo quel, che sei,
senza, che
t'abbellisci, e ti descrivi,
certo di capra
nato esser tu déi,
ama dunque le capre,
e con lor vivi.

IL SATIRINO
Io son, io son d'origine
quasi divina, e nobile,
ben tu villana, e rustica
nata esser déi tra gl'asini,
o da parenti simili.
So perché mi ripudia
l'ingorda tua libidine,
perché garzone semplice
mal buono agl'esercizi
di Cupido, e di Venere,
ancor crescente, e picciola
porto la coda tenera.

MERCURIO
Nelle mandrie ad amar va'
aspetto ferino.
Fanciullo caprino.
Che Narciso, che bel viso,
vuol goder la mia beltà,
nelle mandre ad amar va'.

Scena Quattordicesima

PANE
Numi selvatici,
custodi, e genii
di boschi mutoli,
sassose orcadi,
umide naiadi,
rozze amadriadi,
disperse, e lacere
le chiome all'aria,
in volti squallidi,
sopra il cadavere
del dio di Menalo
cantate flebili,
la mesta nenia:
amor, ch'è un aspide
con il suo tossico
ha morto il misero.

SILVANO
Risuscita
sconsolato, e scaccia il torbido.
La tua diva ha 'l petto morbido,
nella fé serpe pestifera
al tuo bene salutifera
la speranza ancor suscita.

IL SATIRINO, SILVANO
Risuscita
sconsolato, e scaccia il torbido.

PANE
Conforti deboli
sono i vostri, ch'implacabile,
e fiera vipera
a' miei prieghi è fatta Delia:
né rammentasi
del bel don di lane candide,
che la fe' scendere
dal suo giro argenteo, e lucido,
vezzosa, e fulgida
a baciarmi il labbro rigido,
io temo, e dubito,
che da gotte più piacevoli,
più vaghe, e morbide,
colga il mel delle delizie;
ed io, qui misero
tra singulti amari, e queruli
mi stempro l'anima.

SILVANO
S'esplori, s'investighi
di questa tua ruvida
l'amore, ch'immagini;
e il vago, che rubati
al core ogni giubilo,
in braccio alla perfida
squarciandolo uccidasi.

IL SATIRINO
Io per grotte ombrose, e gelide,
io per boschi ignoti, ed orridi,
io per monti ermi, ed altissimi
de' tuoi dubbi, accorto d'indole,
sarò spia, sempre instancabile.

PANE
Amore aitami,
soccorso chiedoti
e fa', ch'in braccio
torni al mio ghiaccio:
fallo deh pregoti.

SILVANO, IL SATIRINO
Pane consolati,
ch'in letto morbido
di fiori, il torbido
svanir vedremoti,
Pane coi fremiti
da' morte a' gemiti.

(Escono sei Orsi dalla foresta,
e compongono il ballo)



ATTO SECONDO


Scena Prima

(Le cime del monte Liceo)

ENDIMIONE
Erme, e solinghe cime,
ch'al cerchio m'accostate
delle luci adorate,
in voi di novo imprime,
contemplator segreto
Endimione l'orme.
Le variate forme
della stella d'argento
lusingando, e baciando,
di chiare notti tra i sereni orrori,
sulla terra, e sui sassi i suoi splendori.
Lucidissima face
di Tessaglia le note
non sturbino i tuoi giri, e la tua pace.
Dagl'atlantici monti
traboccando le rote,
Febo, del carro ardente, omai tramonti.
Il mio lume nascente
illuminando il cielo
più bello a me si mostri,
e risplendente.
Astro mio vago, e caro
a' tuoi raggi di gelo,
nel petto amante
a nutrir fiamme imparo.
Qual sopor repentino
a' dolce oblio m'invita
su quest'erta romita?
Sonno cortese, sonno
s'alle lusinghe tue pronto mi rendo.
Deh fa' tu, che dormendo
amorosi fantasmi
mi felicitin l'anima svegliata.
Baciatrice baciata
mandan in sen la diva mia crudele,
e stringendo i tuoi lacci,
in dolci inganni
fa' che morto in tal guisa
io viva gl'anni.

(Endimion dorme)

Scena Seconda

DIANA
Candidi corridori,
cervi veloci, al vostro moto,
al corso
sul vertice Liceo
si ponga il morso.
Ascender qui ved'io
il pastorello mio,
e qui solinga in solitario loco
per arder al mio foco,
non per scoprirmi amante
mi son condotta.
Oh Cinzia fortunata,
il gemino Levante,
del tuo sole, che cerchi, ecco che dorme.
Ammirabili forme,
ignota adoratrice
vi potrò pur, felice
vagheggiar, contemplarvi,
senza rossor baciarvi.
Ma che parli de' baci
o casta Delia? Ah taci.
Ohimè, che mi procura amareggiare
il soave pensiero? Io vo' baciare.
Oh aliti odorati,
spiran d'Arabia i fiati
queste labbra di rose,
e aure preziose
m'invia, più, che m'accosto
il cinnamomo, il costo.

ENDIMIONE
Bella quanto crudele
non fuggirai più no dal tuo fedele.

DIANA
Sogna, e mi stringe al petto;
deh mai non si svegliasse,
e il mio divin restasse
incatenato sempre al suo diletto.

ENDIMIONE
Viso eterno ti bacio, e godo,
e sento nel baciarti, mia dèa,
dolce il tormento.

DIANA
Non posso distaccarmi,
temo ch'egli si desti.

ENDIMIONE
Che prodigi son questi?

DIANA
Ohimè, ch'ei s'è svegliato.

ENDIMIONE
Oh dio, che dormo ancora?
Del sonno supplicato
l'illusioni amabili anco abbraccio?
Tormentoso mio laccio
chi mi ti rende amorosetto, e pio?
Sacrilego son io
che le menti del cielo,
e stringo e tocco,
ma di goder cotanta gloria parmi,
che prima di lasciarle
io vo' dannarmi.

DIANA
Rallenta questi nodi mio conforto.

ENDIMIONE
Mio che?

DIANA
Ardor, mio foco.

ENDIMIONE
Ohimè m'uccide la dolcezza.

DIANA
Lasciami mia bellezza,
e già, che amor sagace
nel tuo seno mi pose
paleso la mia face,
ti confesso la piaga.

ENDIMIONE
Ah diva Artemia, e vaga,
formano le tue fiamme
il rogo alla mia vita,
moro alla tua ferita.

DIANA
Vivi, vivi, a' nostri amori.
Rasserena la tua pena
raddoppiando i nati ardori.
Vivi, vivi a' nostri amori.

ENDIMIONE
Moribondo, eccomi sano.
Tristo duolo
ratto a volo
da me fugge, e va lontano.
Moribondo eccomi sano.

DIANA
Partir devo. Addio rimanti.

ENDIMIONE
Tu mi lasci? Io riedo a' pianti

DIANA
Così chiede il mio decoro.

ENDIMIONE
Torna indietro, o mio martoro.

DIANA
Breve la lontananza
sarà, rasciuga gl'occhi o mia speranza.

ENDIMIONE
Quando più ti rivedrò?

DIANA
Presto, presto mio ben
lieto rimanti, io vo'.

ENDIMIONE
Teco l'anima vien.

DIANA
Mio sole.

ENDIMIONE
Cor mio.

DIANA, ENDIMIONE
Addio.

Scena Terza

IL SATIRINO
Alfin la tanto rigida,
quella, che delle vergini
imperatrice, e satrapa
è come l'altre femmine
soggette al senso fragile;
e che sempre s'appigliano
al male, al peggio, al pessimo.
Pane, ch'è un dio sì nobile
costei ripudia, e gettasi
nelle braccia d'un rustico.
Se gl'occhi lo spettacolo
veduto non avessero
mai non avrei credutolo.
Voglio avvisar il languido,
ei vi porrà rimedio.
Chi crede a femmina
nell'acque semina;
e prima svellere
potrà man tenera
antica rovere, che mai commuovere
suo cor, che genera fede mutabile.
Chi crede a femmina
mai sempre instabile
nell'acque semina.

Scena Quarta

(La pianura dell'Erimanto)

GIUNONE
Dalle gelose mie cure incessanti
lacera, stimolata,
a questo suolo
de' miei pomposi augelli
io piombo il volo,
fatti del mio furor compagni erranti.
Stupri novelli a sussurrare intesi.
Abbandonata la celeste corte,
ignoto qui dimora il mio consorte,
chiuso in stranieri, e indecenti arnesi.
Sempre per ingannar fanciulle belle,
novo Proteo,
si cangia in forme nove,
aspetto un dì, che questo mio gran Giove
mi conduca le drude
in sulle stelle.

Scena Quinta

CALISTO
Sgorgate anco sgorgate
fontane dolorose,
luci mie lagrimose
quell'umor, che dal cor
ascendendo a voi se 'n vien.
M'è sparito in un balen
il conforto,
restò morto quel piacer, che già gustò
da dèa pia l'alma mia,
sin, che vivo io piangerò.

GIUNONE
Che lagrime son queste
o bella faretrata?

CALISTO
Piango mia sorte ingrata.

GIUNONE
Le tue noie funesti
a me scopri, che posso,
moglie del gran motore,
sanarti ogni dolore.

CALISTO
Oh reina del cielo
scusa l'irriverente io non conobbi
la tua divinità nel terreo velo,
Cinzia, che seguo, e onoro
mi scaccia dal suo coro.

GIUNONE
La cagion?

CALISTO
Mi condusse
in antro dilettoso,
e mi baciò più fiate
come se stato fosse il vago, il sposo.
Le mie labbra baciate
le sue baciavo a gara,
stretta dalle sue braccia.
Or ella nega il bacio, e me discaccia.

GIUNONE
Tocca la terra appena,
temo d'aver trovata
dell'adultero mio la nova amata.
Altro, che baci, di',
v'intervenne, vi fu
tra la tua Delia, e te?

CALISTO
Un certo dolce che,
che dir non te 'l saprei.

GIUNONE
Non più, non più.
Le forme della figlia, uso alla frode,
prese il mio buon consorte
per appagar il perfido appetito,
grazioso marito.

CALISTO
Deh se mai non discenda
il tuo Giove del ciel per ingannare
le vergini innocenti,
raddolcite, e clementi
di Diana alterata
rendimi l'ire, e fa' ch'omai placata
giri ver me le luci sue serene.
Ecco appunto, che viene.

GIUNONE
Certa son dell'inganno,
in quelle forme è Giove.
A Mercurio il conosco,
al scaltro suo messaggio,
al ladro accorto,
che fabbro del mio torto
ha per me sempre nella bocca il tosco.

Scena Sesta

GIOVE
(in Diana, a Mercurio)
Esprimerti non posso
il goduto piacere.
Tal lassù nelle sfere,
e nelle glorie mie
no 'l finisco, no 'l provo.
Io, che regalo, e meno
i cerchi erranti, e che sostengo il mondo,
con diletto giocondo,
ben che nell'operar sempre indefesso,
con le fatture mie ricreo me stesso.

MERCURIO
Tu non dovevi o facitor sovrano,
già, che sì ti diletti
de' generati aspetti
indipendente far l'arbitrio umano.
Se fosse a te soggetto
chi vive in libertade,
senza tante mutanze,
e tanti inganni,
di sembianze, e di panni,
godresti ogni beltade.

GIUNONE
Oh consiglio prudente,
esser non può costui più miscredente.

CALISTO
(A Giunone)
Alta regina, io voglio
pria, che per me la tua bontà s'impieghi
in suppliche, ed in preghi
provar s'è la mia diva anco di scoglio.

GIUNONE
Troverai placidetta,
va' pur, la tua diletta.

GIOVE
(in Diana)
Calisto anima mia?

GIUNONE
O sferze, o gelosia.

CALISTO
Mio conforto, mia vita!

GIOVE
(in Diana)
Mia dolcezza infinita!

CALISTO
Mio ristoro.

GIOVE
(in Diana)
Mio martoro.

CALISTO
Mio sospiro.

GIOVE
(in Diana)
Mio respiro.

CALISTO
Mio desio.

GIOVE
(in Diana)
Onde vieni?

CALISTO
A te ben mio.

MERCURIO
Di dolci parolette
lasciva melodia.

GIUNONE
O sferze, o gelosia.

GIOVE
(in Diana)
Dove dall'urna sua
scaturisce il Ladone i suoi cristalli
vanne, vanne mia cara,
e di novo prepara
la bocca a guerreggiar co' miei coralli,
io tosto là verrò.

CALISTO
Rapida me ne vo.
Ma chi è costui, che ti risiede appresso?

GIOVE
(in Diana)
Del mio buon padre il messo.

CALISTO
Volea, poch'è, facondo
farmi preda di Giove,
ma resa sorda
a lusinghieri inviti
furo lasciati ambo da me scherniti.
Eccelsa imperatrice,
la cagion non le chiesi
del procelloso nembo,
e del tranquillo,
li sdegni ha la mia dèa placidi resi;
tutta fasto,
in contento il cor distillo.

GIUNONE
Vo', che tu cangi presto
quel tuo lieto in funesto.

Scena Settima

GIOVE
(in Diana)
Trar da quelle vaghezze
bramo Cillenio mio dolcezze nove.

MERCURIO
Giunon, Giunone, o Giove.

GIUNONE
Mercurio? Ove lasciasti,
teco quaggiù disceso
a consolar la terra, il mio marito?

MERCURIO
Il ristoro adempito
dell'egra madre accesa,
ritorno dell'Olimpo agl'alti nidi.

GIUNONE
Di là vengo, né 'l vidi.
Forse, ch'ei t'ha ingannato,
e deviando da già presi voli,
tra le selve celato,
amator fraudolente
deve, deve ingannar ninfa innocente.

GIOVE
(in Diana)
Qualche notizia ha certo
della mia dolce sorte
la gelosa consorte.

MERCURIO
Sempre maligno, e gelido sospetto
ti tiranneggia il petto.

GIUNONE
Porge poca credenza
l'esperienza mia
al dio della bugia.
Ma voi celeste, o vergine matrona,
che fate qui con ladri, e con mezzani?
Accoppiamenti strani,
l'onestade vid'io con la lascivia.
E che volete trivia
che si dica di voi? Che lingua dotta,
con retorica rea v'abbia corrotta?
Lo discacci di qua
la vostra castità.

GIOVE
(in Diana)
Non può macchia, o sozzura
render nera mia fama, e farla impura.
Senza oscurarmi l'onorato grido
poss'io conversar l'ore
con Venere, e d'amore.

GIUNONE
E baciar le donzelle.

MERCURIO
(fra sè)
È scoperta la frode,
e della frode il fabbro.

GIOVE
(in Diana)
Non è negato il bacio a casto labbro,
bocca pura, e pudica
può baciar senza biasmo,
la verginella amica.

GIUNONE
Sì, ma negl'antri lecito non gl'è
condur le semplicette, e farle poi
un certo dolce che,
come fatto gustare gl'avete voi.

MERCURIO
(fra sè)
Lo diss'io.

GIOVE
(in Diana)
Giuno, Giuno ove trascorre
la lingua disonesta?
Esprimi più modesta
concetti degni dell'udito mio,
o la selva abbandona,
ove solo le voci casti

il eco risuona.

GIUNONE
Non v'alterate no,
triforme lascivetta
i vostri vezzi io so;
e crederei, che Giove
sotto quelle sembianze,
scordato il firmamento,
errasse per le selve a lussi intento.
Ma fatto continente
più non segue,
od apprezza
la caduca bellezza;
e poi d'averlo visto afferma,
attesta quel suo buon messaggero,
volar al trono del sublime impero.
Orsù voglio lasciarvi,
né importunarvi più.
Dentro li spechi
nettare più soave
amor v'arrechi.

Scena Ottava

GIOVE
(in Diana)
Chi condusse costei
dal cielo a investigare i gusti miei?

MERCURIO
La gelosia, che vede
con cento lumi, e cento
ch'agile come il vento
penetra il chiuso, e il tutto osserva, e crede.

GIOVE
(in Diana)
Ululi, frema, e strida,
qual belva inferocita,
a gl'amorosi torti
la moglie ingelosita,
non farà mai, che lasci i miei conforti.

MERCURIO, GIOVE
È spedito quel marito,
che regolar le voglie si lascia dalla moglie.
Con quello, che piace
si smorzi la face
del nostro appetito.
E poscia il rigore
accheti il rumore.
È spedito quel marito,
che regolar le voglie si lascia dalla moglie.

Scena Nona

ENDIMIONE
Cor mio, che vuoi tu?
Che speri, che brami,
che chiedi di più?

Più lieto di te,
ch'il cielo baciasti
in terra non è.
Cor mio, più lieto di te,
ch'il cielo baciasti
in terra non è.

GIOVE
(in Diana)
Mercurio, che disfoga
in amorosi carmi il chiuso ardore?

MERCURIO
Delle pelasge selve
l'ornamento, l'onore.
Pastor, che non di belve
vago, o di pascolar gregge, ed armenti,
con lodevoli studi
vuol che l'ingegno sudi
in specolar del ciel gl'astri lucenti.

ENDIMIONE
O splendida mia dèa,
felicità dell'alma,
mia fortuna, mia calma.
Dal mio Liceo felice,
ove, mercede tua, lasciai la pena
ti trovo, sceso appena?
Il core amor ringrazia, e benedice.
Ma chi è colui, ch'è teco?
Ohimè fiero tormento
nato da gelosia nel petto io sento.

GIOVE
(in Diana)
Cinzia fa poi la casta,
e pur anch'ella ha di segreti amanti.

MERCURIO
Questi falsi sembianti,
con gl'arnesi mentiti
signor deponi, che di vaghe invece
troverai di mariti.

Scena Decima

IL SATIRINO
Se tu no 'l credi, vedila
di novo unita all'emulo,
quell'agreste, ch'accennoti
il drudo è di Trigemina.

PANE
Scellerato, dai vincoli
stretto di questi muscoli
non fuggirai le Eumenide
del doglioso rammarico,
ch'in sen per te mi pullula.

ENDIMIONE
Lasciami, chi t'offese?
Ch'ingiuria t'ho fatt'io
o semicapro dio?

GIOVE
(in Diana)
Qual furia agita Pane?

PANE
Ecco il tuo vago o perfida,
incatenato, e fattomi
prigion da fato prospero
sugl'occhi tuoi, ch'aborrono
la figurata, e mistica
mia mostruosa immagine.
Quei livori, che vedonsi
nelle tue guance candide
sono pur le memorie
de' baci soavissimi,
ch'i labbri tuoi mi dierono.
Or perché sprezzi, e fuggimi
incostante, e contraria?
Ahi, che nota è l'origine
dell'amor tuo volubile.
Costui ch'in pianto stillasi
è del mio mal la causa;
ma far di lui spettacolo
funesto e miserabile
voglio a quei rai, che, fulmini
fatti per me, m'uccidono.

MERCURIO
Da questi intrichi usciamo,
partiam, Giove partiamo.

GIOVE
(in Diana)
Satiro dispettoso
uccidi pur, carnefice, a tua voglia,
non avrai mai salute all'aspra doglia.

ENDIMIONE
Dove vai diva? Aita.
Parti? Perdo la vita.

Scena Undicesima

PANE, SILVANO
Fermati o mobile.
A par del turbine,
così tu l'anima
lasci all'arbitrio di cor, ch'infuria?
D'acerba ingiuria
feroci vendici
quel duol, ch’annidassi
nel petto lacero
si estirpi, e uccidasi,
con l'altrui strazio,
di vendetta il desio se n' resti sazio.

ENDIMIONE
Oh dio così abbandoni
sul margo del sepolcro
il tuo fedele?
Oh dio così crudele
mi lasci agonizzante?
Mira almen la mia morte,
amata amante.

PANE, SILVANO, IL SATIRINO
Miserabile,
che credevi a donna instabile?
Variabile
è la tua fede, e detestabile.
Miserabile,
che credevi a donna instabile?

ENDIMIONE
Amor, se non m'ascolta
la dispietata mia, qui drizza l'ali,
difendami i tuoi strali.

PANE, SILVANO, IL SATIRINO
Miserabile,
dunque speri
in dio mutabile?
Egl'è inabile,
né ti sente, arcier vagabile.
Miserabile,
dunque speri
in dio mutabile?

ENDIMIONE
Uccidetemi dunque
dalle speranze mie
povero derelitto;
tolga il martir la morte ad un afflitto.

PANE
Poiché morir desideri
vo', che tu formi gl'aliti
per eternarti il flebile
privo di libertà.

ENDIMIONE
O dèi, che crudeltà.

PANE, SILVANO, ENDIMIONE
Pazzi quei, ch'in Amor credono.
Son baleni che spariscono.
Le dolcezze e in fiel forniscono
suoi piaceri, o mai si vedono.
Pazzi quei, ch'in amor credono.



ATTO TERZO


Scena Prima

(Le fonti del Ladone)

CALISTO
Restino imbalsamate
nelle memorie mie
le delizie provate.
Fonti limpide, e pure
al vostro gorgoglio
la mia divina, ed io,
coppia diletta, e cara
ci baceremo a gara,
e formeremo melodie soavi,
qui dove con più voci Eco risponde,
unito il suon de' baci, al suon dell'onde.
T'aspetto, e tu non vieni
pigro, e lento
mio contento;
m'intorbidi i sereni;
anima, ben, speranza,
moro nella tardanza.
T'attendo, e tu non giungi.
Luminosa
neghittosa,
con spine il cor me pungi.
Deh vieni, e mi ristora,
moro nella dimora.

Scena Seconda

GIUNONE
Dalle sponde tartaree a questa luce
gelosia vi conduce,
non men furia di voi,
triste sorelle.
L'acherentee facelle,
gl'aspidi preparate,
il mio dolore vo' medicar
col tosco, e col rigore.

LE FURIE

Imponi, disponi, de' nostri veleni,
impera severa al foco, alla face,
tormento non lento al tuo contumace
porremo, daremo
infino che s'abbia spiantata,
smorzata l'accesa tua rabbia.

CALISTO
Mi si fa gelo il sangue.
Qual orridezza miro?
Non la possono gl'occhi,
ohimè, soffrire;
tutta terrore altrove
il piede io giro.

GIUNONE
Putta sfacciata, e rea,
credi fuggire degl'adulteri tuoi
sozzi e nefandi
i castighi sovrani, e memorandi?

(Calisto in orsa)

Ora nelle mie piume
ti conduca il tuo Giove,
e in libidini nove
dalle tue sordidezze
tragga le sue dolcezze.
A fremiti indistinti,
che formerà quella tua bocca oscena
i sospiri accompagni, e rese impure
le labbra sue, che generaro il mondo
baci della sua fera il volto immondo.
Errerai per le selve,
e per i monti
fatta d'orsi compagna,
e sempre teco
per boschi, e per caverne
sarà lo sdegno mio rapido, e cieco.
Ecco germane inferne
chi tormentar dovete;
ve la consegno, andate,
e per colli, e foreste ella agitate.

LE FURIE
A mille faville
del nostro Acheronte,
ardenti, ferventi
la fera accendete,
ogn'angue nel sangue
ammorzi la sete:
s'offenda, l'orrenda,
ch'offese Giunone,
sdegnosa, gelosa,
la dèa ciò n'impone.

Scena Terza

GIUNONE
Racconsolata, e paga
torna all'Etra Giunone:
alla punita vaga
del tuo sleal tonante, hai sciolto il gelo,
non ti sarà più tormentoso il cielo.
In guisa tal si devono punire
del letto marital l'offese amare:
e così castigare,
se potessero, ancora
dovrebbero le donne i lor mariti,
che sazi d'elle, ognora
ravvivano nel sen novi appetiti.
Mogli mie sconsolate
noi sempre siam l'offese, e abbiamo il torto.
Lasciate dal conforto
morian spesso di sete in mezzo al fiume.
La notte nelle piume,
stanchi ne' gusti loro i rei mariti,
stan sempre sonnacchiosi, o risentiti.
Perché noi non gridiamo
ci dan de' baci insulsi, e senza mele,
e le nostre querele
sprezzano, quasi di serventi, o schiave.
Sarà il giogo soave,
quando sapremo oprare audaci, e scaltre,
ch'il nostro dolce non trapassi ad altre.

Scena Quarta

LINFEA
D'aver un consorte
io son risoluta
voglio esser goduta.
Non vo' isterilire
sul vago fiorire
degl'anni ridenti:
i dolci contenti,
che l'uomo sa dare
anch'io vo' provare.
D'aver un consorte
io son risoluta
voglio esser goduta.

IL SATIRINO
Ad impazzir principia
la sprezzatrice rigida.
Vo' castigar l'ingiuria
con vendetta di zucchero.

LINFEA
Amor ti prego,
che vago, e gradito
mi trovi un marito.

IL SATIRINO
Uscite amici satiri,
questa fera prendetemi.

MERCURIO
Compagne soccorretemi.

Scena Quinta

GIOVE
Bella mia sospirata,
semplicetta ingannata
dagl'affetti amorosi
di quel supremo dio,
che regge il mondo,
dall'intimo, e profondo
del latteo sen
scaccia il terror,
che fiero l'anima ti sgomenta:
entro del core
t'infonde le sue glorie il tuo motore.

CALISTO
O re dell'universo
ricreata mi sento
al tuo divino accento.
Degl'aspidi nocenti
più le rabbie non provo,
delle facelle ardenti
mi s'ha l'incendio estinto; io mi rinnovo
formo voci, e parole
riumanata, e miro
nella prima figura il cielo, il sole.

GIOVE
Te mineran poch'anni
di serpi loro in globi i presti corsi
che su quei, che tu miri eterei scanni
vestita di zaffiri,
di stelle indiademata,
con la prole comune,
ad onta di Giunon divinizzata,
accrescerai piropi al firmamento,
ed al dolce concento
di celebre armonia
l'ambrosia beverai; resa infinita,
e del mio sempiterno eterna vita.

CALISTO
Eccomi ancella tua.
Disponi a tuo piacere,
monarca delle sfere,
di colei, che creasti,
che con frode felice, o mio gran fato
accorla ti degnasti
nel tuo seno beato.

GIOVE
Regolar del Destino
anco Giove non puote i gran decreti:
sotto il manto ferino
convien, che tu ritorni,
per i patrii contorni
in orsa errando, infin, che si consumi
l'influsso reo, che registrato vive
negl'eterni volumi.
Sempre però invisibile custode
t'assisterà Mercurio, e sempre avrai
teco, gelosi, i miei pensieri, e rai.
Ma pria, ch'il velo irsuto
ti ricopra le membra, o mia dolcezza,
l'immortale bellezza
dell'Empireo, in cui devi
fasta diva, albergar, mostrar ti voglio.

CALISTO
Tanto caduca, e frale
creata umanitade
non merta ottimo nume:
pure di tua bontade
d'innalzar l'opre sue sempre è costume.

GIOVE
Al cielo s'ascenda.

CALISTO
Al cielo si vada.

GIOVE, CALISTO
È questa la strada,
che rende immortale.

GIOVE
Mio foco fatale,
son Giove, e tormento.

CALISTO
Beata mi sento
a questa salita.

GIOVE
Per te mia tradita.

CALISTO
Mercé del mio dio.

CALISTO, GIOVE
O dolce amor mio.

MERCURIO
A questi ardori
scocchi, baleni,
doppi splendori
l'arcier di Delo.

CALISTO, GIOVE, MERCURIO
Al cielo, al cielo.

Scena Sesta

ENDIMIONE
Che non l'ami volete?
Non posso, no.
Io morir vo.
Uccidete, uccidete.

SILVANO
Più, che sciocco, esser puoi libero
col negare amore, e l'idolo.
Che di te cura non prendono,
e morir prima desideri,
che formar questo ripudio?

PANE
Porta il vento, come polvere
giuramenti, e non si possono
scior così d'amore i vincoli.
Dunque a un sì, dovrossi credere,
di quel reo che vive in carcere?

ENDIMIONE
Che non l'ami bramate?
Non posso, no.
Pria morir vo'.
Svenatemi, svenate.

PANE, SILVANO
Legato agl'aceri
costui si maceri;
e Delia misera
qui venga poscia
a far l'esequie
alla sua requie.

Scena Settima

DIANA
Numi vili, e plebei
nelle griotte apprendeste
dalle fere compagne, ad esser rei.

ENDIMIONE
Me felice. Qui arriva
la mia lucida diva.

DIANA
Lasciate gl'innocenti,
se i miei dardi pungenti
irritar non volete.

PANE
O cruda trivia
perché al mio gemere
tuo core impietrasi?
Perché al mio piangere
tuo petto indurasi?
Perché volubile
sdegni quel nobile del mondo, simbolo,
che lusinghevole baciasti un secolo?

SILVANO, PANE
Torna piacevole
bella trigemina,
e gioie semina
nel sen d'un languido,
a cui ti fecero
doni pieghevole
torna piacevole.

DIANA
Mentite semibelve,
e calunnie sfacciate
tessete, fabbricate.
Non amò Cinzia, e s'ama
ama indole acuta, e la virtude
di nobile pastor,
che stende i voli
dell'intelletto suo di là da poli.
Ma partite vi dico
o dèi villani,
e sfogate de' cori
con pari forme i disonesti ardori.

SILVANO
Pane, l'ore si gettono
a trar il mel dagl'aspidi.
Partiamo, e col suo astronomo
quest'orgogliosa lascisi,
e per vendetta gridasi
della mordace ingiuria.
Cinzia la casta dèa,
tutta è lussuria.

SILVANO, PANE
Cinzia la casta dèa tutta
è lussuria.

Scena Ottava

DIANA
Ti segua questo dardo
coppia sozza, e difforme;
io calcherei quell'orme
saettatrice fiera,
vendicatrice arciera,
ma non vo' lasciar solo
tra questi orror selvaggi
chi mi dà luce a' raggi.

ENDIMIONE
Vivo per te pietosa,
spiro per te clemente,
gioia mia luminosa,
pena mia risplendente.
Pria, che te rinnegare
morir, morir volea
martirizzato, o dèa.

DIANA
Tanto dunque tu m'ami?
Chi me l'attesterà?

ENDIMIONE
Il cor, che teco sta;
con l'alma congiurato
nel tuo petto volò.
Io vivo effeminato, e cor non ho.

DIANA
Lusinghiero amoroso
contentezza maggiore
la deitade mia provar non puole,
quanto sentir le dolci tue parole
chiamarmi anima, e core.
Ma vo', che tu abbandoni
questi boschi pelasgi,
e questi monti
per fuggire i rigori
de' numi delle selve,
e de' pastori.
Gelosa del tuo bene
condur ti voglio sulle ionie arene.
Là del Latimio eccelso
segretarie le cime
de' nostri ardor faremo:
tu modesto, ed io casta
lassù ci baceremo.

ENDIMIONE
Il bacio, il bacio basta
ad amatore onesto;
il bacio sol desio, non chiedo il resto.
Son del senso signore
né il foco vil m'incenerisce il core.

DIANA, ENDIMIONE
Dolcissimi baci
un nettare siete,
che sempre le faci
d'amor accrescete.
Il bacio che muore
al bacio dà vita,
la gioia è infinita.
Ch'indugi, e dimore?
Il labbro
ch'è fabbro
di tanta dolcezza
se n' vada a baciare,
mio ben, mia bellezza.

Scena Nona

(L'empireo)

MENTI CELESTI
Le stelle più belle
sfavillino, e brillino.
L'alto motore
novo splendore a ciel prepara.
A Giove cara
quassù goderai vestita di rai.
Le stelle più belle
sfavillino, e brillino.

CALISTO
È l'anima incapace
di tante glorie, e nelle glorie immersa,
terrena pellegrina,
della patria divina
la notizia già persa
chiusa nella materia, in parte acquista.
Oh splendore, oh bellezza,
oh pompa, oh vista.

GIOVE
Questi alberghi stellati
siano tuoi nidi, e morta anco la morte,
disciolta la compagine del mondo,
estinto il sol, che biondo
la terra indora, e che gl'arreca il giorno;
in quest'alto soggiorno
fatto di pure, e incorruttibil tempre,
meco bella vivrai gl'anni di sempre.

CALISTO
Anima senti
qual stanza rara
a te prepara
premio d'amor,
il tuo motor?
Allegrezza, ho pieno il petto
di diletto,
né puoi tu
nel cor mio capire or più.

CORO
Il ciel rida
a' contenti
della fida
al gran dio degl'elementi.
Dive menti
ancor noi la melodia
raddoppiamo, e l'armonia.

GIOVE
Arciera mia, discendi,
e nella doppia carcere terrena
raddolcita la pena
d'esser quassù rapita
in breve attendi.
Vanne Mercurio seco,
e difensore,
ignoto al lume umano,
per l'erta, e per il piano
seguirai l'orsa bella
destinata già stella.

MERCURIO
D'obbedirti mai stanco,
gl'assisterò, dio tutelare, al fianco.

CALISTO
Mio tonante.

GIOVE
Vaga amante.

CALISTO
Lieta.

GIOVE
Mesto.

CALISTO
Parto.

GIOVE
Resto.

MERCURIO
Presto il fato v'unirà.

CALISTO
Vado o Giove.

GIOVE
O bella va'.



PRÓLOGO


(Cueva de la Eternidad)

LA NATURA
Almas puras y aladas,
que del círculo
que forma la sierpe eterna
anudando los orígenes,
debéis salir,
surgir cabalmente sentadas,
cual aurigas,
al gobierno de los cuerpos mixtos,
cuyos sentidos refrenáis.
Surcad los espacios de la vida,
surcadlos, ilustres,
nimbadas por la virtud,
y luego retornad,
terminado el periplo.

LA ETERNIDAD
Quien aquí llega,
vive inmortal la vida infinita
adorando a Natura.
Pero, pedregosa,
fatigosa, es la vía
que me ha traído aquí:
un camino montañoso y duro.

LA NATURA Y LA ETERNIDAD
El camino de Alcides
conduce hasta aquí.
La excelsa virtud hasta esta
alta cima a los espíritus sublima.

EL DESTINO
Gran madre, jefa suprema,
augusta, antigua,
productora fecunda de cuanto
tiene vida dentro de los elementos,
para que permanezca esculpida
en la caverna diamantina
tu noble creación,
hasta aquí asciende el Destino.

LA NATURA
Inmutable Destino,
más viejo que Saturno y que yo,
entra, que no se te veda el paso.

EL DESTINO
Diosa, tú,
que de inmortales y divinos
anotas los nombres en el libro de
la Eternidad con letras estelares.
En la voluta de tu esférico trono
inmortaliza a Calisto.
Así, al firmamento,
con una nueva constelación,
enriquece y ornamenta.

LA ETERNIDAD
¿Quién la llama a estas esferas?
¿Qué mérito la inmortaliza?

EL DESTINO
Mi voluntad.
No se piden razones a lo que
el Destino determina y dispone.
Mis decretos son un misterio
incluso para los dioses.

ETERNIDAD, NATURA, DESTINO
¡Únase Calisto a las estrellas!
De rayos centelleantes,
los bellos semblantes
se adornen eternos
y acrecienten el resplandor
de los polos celestes.
¡Únase Calisto a las estrellas!


ACTO PRIMERO



Escena Primera

(Bosque. Fuente de un río seco)

JÚPITER
El fuego fulminante
no ha menguado el resplandor
de esferas y zafiros,
el orbe está intacto.
Pero el hemisferio inferior, aún ardiente,
exhala cálidos vapores.
Ya la Tierra agonizante,
con miles y miles de bocas,
pide febrilmente ayuda al Cielo.
Abandonando sus cursos,
los ríos corren hacia sus fuentes.
Exhalaciones y humos
mandan al Cielo los agostados prados,
y marchitos y esquilmados,
apenas sobreviven los bosques.
Ahora me toca a mí,
que me ocupo de guardar
y cuidar el mundo,
reparar los daños
y resarcir a Natura.

MERCURIO
Tú, padre y señor
de las cosas creadas e increadas;
tú, monarca universal.
Desde las cimas felices del Olimpo sublime
deberías haber devuelto su esplendor y belleza
a todo lo destruido y arrasado,
sin abandonar las estrellas,
pues temo que al descender hasta aquí,
en vez de aliviar los males,
mates a los que sufren,
y nuevamente destruyas
para luego regenerar
hasta la progenie
depravada de las piedras.
Más malvada que nunca,
la humanidad,
entre vicios abominables,
desprecia tus rayos,
e incluso a ti,
que los envías.

JÚPITER
Restituyamos primero la dignidad
a la Gran Madre,
y después renovaré el escarmiento
que hice a las hordas rebeldes de Licaón.
Mas, Mercurio, ¿quién viene?
¿Qué ninfa arquera
a estos lares arriba?
¡Oh, qué ojos tan serenos,
más luminosos no los he visto jamás!

MERCURIO
Del rey convertido en lobo,
de ese Licaón
que aúlla por la selva sus fechorías,
ésta es prole ilustre.
Armada con un arco,
sigue a la severa Cintia.
También ella, tan rigurosa y bella
como la casta y venerada diosa,
aborrece la luz de la antorcha del amor.

JÚPITER
¡Jovencitas simples!
Consagrarse a la infecundidad
y por las selvas deshumanizarse
en compañía de fieras.

Escena Segunda

CALISTO
Frondas umbrías,
¿dónde está vuestro ornamento?
Dulces flores
reducidas a cenizas;
colinas y riveras,
antes cubiertas de esmeraldas,
y ahora desprovistas de todo verdor
¡yo os añoro!
Doquiera dirijo mis pasos,
acalorada y sedienta,
hallo que las aguas
han huido hacia sus fuentes,
y no puedo refrescar la frente
ni mis labios ardientes.
¡Inclemente es, sí,
quien truena y quema la Tierra!
¡Basta, Júpiter, ay, basta de guerra!

MERCURIO
De las ofensas del fuego,
te culpa la bella.

JÚPITER
¡Cilenio, ay!
¿Cómo ha podido una mirada
de esa beldad herir mi divinidad?
Este rostro,
adorablemente arisco a su creador,
si yo pudiese morir, me habría matado.

MERCURIO
Descendiste para curar,
y, médico inexperto,
el enfermo te contagia.
Al intentar reducir al culpable,
se incendia tu pecho
con las llamas de Cocito.

CALISTO
Este rebosante manantial
ha perdido sus aguas.
¿Quién proporcionará
frescor y salud a mi cuerpo?
Me consume un ardiente calor,
y no hallo una gota que me alivie
en torrentes, fuentes o ríos.

JÚPITER
Descenderán del cielo
para atenderte ¡oh, bella!
los espíritus eternos
y se pelearán por darte la ambrosía,
que es tan grata a los dioses.
Mira cómo brotan de la fuente
las frescas gotas cristalinas.
Tu dulce boca amorosa, querida mía,
los bellos corales de tus labios,
sumerge en ese agua que mana.

CALISTO
¿Quién eres tú, que riges el agua,
¡oh, maravilla enorme e inaudita!
y desde lo más profundo de los manantiales
la envías a regar las resecas riberas?

JÚPITER
¡Puedo hacer cosas mayores sólo con un gesto!
Los astros y los elementos
puedo destruirlos y rehacerlos al momento.
Soy Júpiter, descendido del cielo
para curar la Tierra, que arde.
Y por el fuego de tus ojos me siento inflamado.

MERCURIO
Arquera graciosa,
que despiertas amor
en el pecho de Júpiter.
El Empíreo sereno
él te dará como premio
por tus dulces besos,
y tu espíritu gozará
de las auténticas delicias.

JÚPITER, MERCURIO
Arquera graciosa,
que despiertas amor
en el pecho de Júpiter.

CALISTO
Entonces, el inmortal Júpiter
que debería proteger
con santo proceder, la virginidad,
inflamado de un fuego mortal,
¿intenta desflorar los castos cuerpos
y romper los votos
de las vírgenes puras
consagradas a Cintia?
¡Eres un lascivo que obligas a Natura
a obedecerte con encantamientos mágicos!
Engalanada de mirtos,
Venus jamás me verá fecunda.
Devuelve esas aguas
a su cristalino manantial,
que no quiero beber tus filtros.
Libidinoso mago,
¡quédate con tus encantamientos!
¡Adiós, me marcho!.

Quiero morir virgen.
Estancia y nido para Cupido
jamás será mi pecho.
Quiero morir virgen.
Usa, Amor, si puedes,
todas tus armas para adularme,
que al final yo venceré.
Quiero morir virgen.

Escena Tercera

JÚPITER
Cómo desprecia la joven huraña
las lisonjas del dios soberano.
Para rendirla amante
mi omnipotencia no es bastante,
pues libre creé el alma humana.
Tú, elocuente Mercurio,
que con palabras melosas
persuades y ablandas,
¡ahora corre,
vuela tras la fugitiva,
y, privándola de su casto orgullo,
consuela a tu señor!

MERCURIO
Algo más que palabras
se requiere para vencer
el rigor pertinaz de esa soberbia.
Si se ruega a una mujer,
se vuelve más obstinada.

JÚPITER
Entonces, ¿qué debo hacer
para aliviar mi amorosa angustia?

MERCURIO
Seguir mi consejo: usa el engaño.

JÚPITER
¿Cómo?

MERCURIO
Toma la imagen de tu hija,
la diosa silvestre,
y bajo ese aspecto,
ingenioso amador,
gozarás de la amante.
La rígida ermitaña
no huirá de los abrazos
de la falsa diosa.

JÚPITER
Eres buen inventor de fraudes,
artífice sagaz.
Tu estratagema, querido Mercurio,
favorecerá los amores del dios de dioses.

MERCURIO
No alejes tus pasos de esta fuente pues,
si escondes las otras aguas
aquí vendrá la esquiva
a apagar su sed ardiente.

JÚPITER
Bajo esa falsa apariencia,
Juno no sabrá de mis aventuras,
y si las descubre, que chille cuanto quiera,
que a tan dulce contento
no renunciaré ni por cien Junos.

Escena Cuarta

CALISTO
Sean mortales o divinos,
esos lascivos ya se han marchado.
Tras vagar por los alrededores,
sedienta y anhelante,
vuelvo aquí
a beber agua del manantial.
¡Oh, cómo unas pocas gotas
de este dulce y frío líquido,
extinguen el ardor
del codicioso deseo
que no hubiera calmado
ni la corriente de un río!
En estas ondas heladas
baño mi rostro
y sumerjo los brazos
para refrescar mi sangre hirviente.
Gracias a la fuente
me he recuperado de mi languidez.
No hay mayor placer
que el de seguir a las fieras
y huir de los hombres
y sus amorosas invitaciones.
La tiranía de los maridos
es demasiado severa
y su yugo demasiado amargo.
¡Vivir en libertad
es mi más dulce y querido deseo!
El prado,
es mi blando lecho bordado de flores.
Mi grato alimento es la miel;
y mi bebida, el río.
De los canoros plumíferos,
aprendo a formar melodías
en los bosques.
¡Vivir en libertad
es mi más dulce y querido deseo!

Escena Quinta

MERCURIO
¿Quién no te creería, vestido así,
bajo esa forma, y con ese porte,
la diosa del plateado cielo?

JÚPITER
(como Diana)
Ahí está la orgullosilla,
cogida incauta en la trampa.

MERCURIO
Respetuoso amante,
¿por qué no la abrazas?

JÚPITER
(como Diana, a Calisto)
¡Oh, ornato
de mi corte!
Virgencilla
más que bella,
¿por qué te alejas de tu diosa?
Privada de ti,
pierdo la alegría
de la caza y no hallo reposo.

CALISTO
¡Oh Febea,
mi gran diosa,
diosa que impera
en la esfera
que circunda la órbita del fuego!
Bestias feroces
me han alejado
de tu lado, diosa adorada.

JÚPITER
(como Diana)
La amargura
por tu ausencia,
disípala ahora
con la dulzura
de tus besos.

CALISTO
Cuanto tú quieras
te darán,
te ofrecerán,
mis labios devotos,
pues tienen por costumbre
invocar siempre
tu divinidad.

JÚPITER
(como Diana)
A un retiro más sombreado,
a un lugar más frondoso,
junto al murmullo de la cascada
de una fuente
más límpida que ésta,
a besarnos la boca partamos,
amiga adorada.

CALISTO, JÚPITER
¡Vamos a besarnos, sí!
Todas las horas del día
alegran el corazón,
si se gozan en dulce paz.
No nos entretengamos:
¡a los besos!

Escena Sexta

MERCURIO
Ve, ve con él,
que un son bien distinto
al de besos castos y puros,
publicará por la floresta el eco.
¡Ve, ve con él!
Si no sirven,
si no encuentran satisfacción
vuestras plegarias y llantos,
oíd, amantes:
¡recurrid al fraude,
pues el amante artero
es el que goza!
Las caricias y delicias de Cupido,
al ladrón pícaro
le resultan más sazonadas,
más sabrosas y gratas.
Yo os lo repito:
¡recurrid al fraude,
pues el amante engañador
es el que goza!

Escena Séptima

(Bosque)

ENDIMIÓN
Inesperado estupor:
las flores nacen en abundancia,
germinan las plantas
y, en la árida foresta,
se visten las plantas
de un sombreado manto de follaje.
El Ladón y el Erimanto
liberan sus aguas encerradas,
que de nuevo
van a precipitarse al mar.
Pero yo no siento remedio
para mis amargos dolores
y desespero de ver florecer
mis esperanzas.
Pasión devoradora,
mientras que goza el mundo
de su renacer,
el fuego multiplica
en mi pecho los ardores.
Como corre el río,
corre mi llanto,
y siempre tengo
llamas en el corazón
y llanto en los ojos.
Pero, ¡ay de mí! ¿qué veo?
Ahí viene la causa de mis suspiros.
Serénate, ¡oh, corazón!
ante esa belleza
que exhala aspereza.
Furtivo amante,
contempla y repara
con algún placer,
este dolor que lleva
la muerte a tu pecho.
Divina, ¡qué suerte!
ante tu bello semblante
respira el doliente.

Escena Octava

DIANA
Asombradas y aterrorizadas
por las llamas caídas,
están en sus cuevas las fieras,
amigas arqueras.
Mientras, sin esperanza, nuestros pasos
buscan sus rastros en el bosque.

LINFEA
Empujadas por la sed
vendrán a la corriente del río
antes de que en el Occidente
tu luminoso hermano se ponga.
En las laderas de los montes,
en los senderos de la selva,
aguardemos su paso.
Dispararemos flechas y arcos
antes de que anochezca.

DIANA
¡Ay de mí, veo al bien mío,
aquél por el cual, dichosa, vivo penando!

ENDIMIÓN
Ojos míos,
que no os deslumbren sus rayos plateados,
os lo ruego, resistid,
para que su luz, cual médico discreto,
aplaque todo mi tormento.

DIANA
Pastorcillo gentil,
¿has visto fieras
errar por la foresta?

ENDIMIÓN
Colmado de tristezas,
ensimismado en mis pensamientos,
devorado por mis tormentos,
ciego por el llanto,
fieras no he visto, diosa.

DIANA
Tú, que eres la gloria del Erimanto,
tú, que los movimientos volubles
de mi esfera observas sabiamente,
tú, que estás en la flor de la edad,
¿padeces tantos afanes?

ENDIMIÓN
Soy un mártir feliz,
y mi alma, languideciendo,
adora y bendice
la razón de su mal.
Que esta herida sea inmortal,
pues siento nacer en mi pecho,
del dolor, el contento.

DIANA
Por los efectos que narras
del dulce dolor,
tu tirano es Amor.

ENDIMIÓN
¡Amor!
Yo no me quejo de sus rigores,
y al origen divino de mi fuego siempre invoco.

LINFEA
Que esa peste tan impura
que infecta tu pecho
desaparezca como un relámpago.
¡Aleja tus pies de aquí,
siervo de un afecto culpable,
enemigo de Diana!

DIANA
¡Cómo!
¿Esta inoportuna interrumpe mi placer?
Una dura necesidad,
una rigurosa castidad,
exige que yo sea inflexible
con mi propia alma.

LINFEA
¿Tanto tardas en partir?
¡Te lanzaremos los dardos!

DIANA
Huye de estas almas castas,
mísero seductor;
que tus viciados suspiros
no contaminen nuestros pechos.
¡Huye de estas almas castas!

ENDIMIÓN
Parto, y llevo partiendo,
tácito idólatra,
oculto enamorado,
fija en el corazón la imagen
que calma el horror de mi destino.
Alegre en mi pena,
plantas, pajarillos y vientos,
me oirán lanzar estos suspiros
cual amante peregrino.
Amaré, por cruel que sea mi destino.

Escena Novena

DIANA
No es cruel, bien mío,
la que te aleja de sí.
El mismo nudo me enlaza,
semejante llama me enciende,
pero a mis deseos se opone mi voto de castidad.
Ve pues, fuego mío, ve,
que si tú me adoras, yo te adoro,
y yo, nacida eterna, siempre muero por ti.

LINFEA
¡Cómo guarda él en su pecho
amarguras, dulzuras, tormentos y deleites!
Es una extraña mezcla
de alegría y tristeza.
Pero... aquí viene Calisto.

Escena Décima

CALISTO
No puede tener placer mayor
un corazón que subiese,
que volase al cielo,
que el que mi alma gozó.
Mas lo que fue, no lo sé.

DIANA
¿Por qué tan alegre,
regia virgencilla mía?
Audaz, en la selva,
en una fiera feroz,
¿has ensangrentado el dardo o la flecha?

CALISTO
Un júbilo inmenso y caro
tus dulces labios
en mi pecho han destilado.
Fueron tan dulces, ¡oh, dioses!
los besos que me diste,
¡oh, diosa cortés!
que mi boca te los devolvió cumplidamente.

DIANA
¿Y cuándo te besé?

CALISTO
¿Cuándo? Rayos luminosos
acabas de verter sobre mí
en la sombría gruta.
¿En tan breve tiempo olvidaste
la dulzura de los labios besados?

LINFEA
¡Está loca!

DIANA
¿Qué hablas de grutas,
de dulzuras gozadas,
de besos dados y devueltos?
Jamás vi virgen más indecente.

CALISTO
¡Ay! Quizá esquivas,
dilecta, amada diosa,
que oiga y sepa Linfea
nuestros placeres, porque también
debes hacerla participe
de la miel de tu boca,
tan grata y dulce.
Te lo ruego, no canses
tus celestiales rubíes
besando otros labios:
resérvame siempre a mí
tus caricias y besos.

DIANA
¡Calla, lasciva, calla!
¿Qué delirio obsceno
confunde tu mente?
¡Imprudente!
¿Dónde profanaste tu pecho,
introduciendo en él
tan sucios deseos?
¿Qué meretriz infame osaría
pronunciar tales palabras?
Sal de la foresta,
no oses conversar con mi casta
y virginal corte, puta desenfrenada,
criatura contaminada por la seducción.
¡Vete, huye y que en tu alada huida
te acompañe el rubor de tu pecado!

Escena Decimoprimera

CALISTO
Llorad y suspirad,
ojos dolientes,
espíritu inocente.
La seductora ingrata,
la bella mía ¡ay de mí!
es mi enemiga y no sé por qué.

LINFEA
Calisto, ¿qué pensamiento empaña tu pecho?
¡Eh, torna tu razón perdida
al sendero de la cordura!

CALISTO
En su dulce seno acogida,
abrazada, fui besada
una y otra vez.
Ahora la besadora,
¡ay de mí!
el beso niega y no sé por qué.

Escena Duodécima

LINFEA
No soy buena intérprete
de esa lujuriosa,
pues las flechas de Cupido
me son ignotas.
Y aunque alguna vez
el estímulo del amor
dulcemente hirió
mi inexperto corazón,
resistí pura a sus impulsos.
Mas... Lo quiero decir,
aunque temo hablar. ¿Y quién me va a oír?
No creo que quiera morir así.
"El hombre es una dulce criatura
que deleite nos aporta
y nos conforta el alma".
Así me lo dice mi añosa nodriza.
En legítimo lecho
quizá quiera yo probarlo.
Un "sí" me llama
y le regaña un "no".
Me siento enternecer
cuando veo algún jovencito bello.
Entonces, ¿por qué debo
voluntariamente languidecer?
Quiero un marido,
que me abrace con ganas.
Al "sí" me agarro y repudio el "no".

Escena Decimotercera

UN JOVEN SÁTIRO
Ninfa bella,
¿qué murmuras de maridos?
Si mi semblante te agrada
y me acoges en tu regazo con tus brazos,
te lo ofreceré todo.

LINFEA
No quiera mi suerte
que tenga en el lecho a tan rudo consorte.

EL SÁTIRO
Blandos como la lana,
y no cerdas punzantes,
son estos pelos tiernos
que despuntan en mis miembros.
Por ahora no me oscurece el mentón
una pelusa mórbida,
pero en mis mejillas cándidas
sonríen los ligustres
y sobre ellos se injertan
y germinan vivas rosas.
Mi boca,
preñada de miel dulcísima,
te ofrecerá el néctar.

LINFEA
Salvajillo lascivo,
te veo tal como eres
sin necesidad de que
te embellezcas y te describas.
Seguro que has nacido
de una cabra.
Ama pues a las cabras
y vive junto a ellas.

EL SÁTIRO
Yo soy de origen
casi divino y noble.
Tú sí que eres villana y rústica,
debes de haber nacido entre asnos
o parientes semejantes.
Sé por qué me repudia
tu codiciosa lujuria:
porque, cándido joven,
aún poseo en el pecho
un tierno corazón
poco ducho en los ejercicios
de Cupido y Venus.

LINFEA
¡Vete a amar a la piara!
Muchacho caprino
de aspecto ferino,
que Narciso, el del bello rostro,
quiere gozar de mi beldad.
¡Vete a amar a la piara!

Escena Decimocuarta

PAN
Dioses selváticos,
custodios y genios
de los bosques mudos,
rocosas oréades,
húmedas náyades,
toscas hamadríades
de cabellos
despeinados y al aire,
con rostros escuálidos
sobre el cadáver del dios de Ménalo,
cantad quejumbrosas
la triste nenia:
Amor, que es un áspid,
con su tóxico
ha dado muerte
al mísero que hay en mí.

SILVANO
¡Resucita, desconsolado,
y expulsa tus preocupaciones!
Tu diosa tiene el pecho mórbido,
pues no es una sierpe pestífera.
Por tu bien suscita ahora
la esperanza salutífera.

EL SÁTIRO, SILVANO
¡
Resucita, desconsolado,
y expulsa tus preocupaciones!

PAN
Débiles resultan vuestros consuelos,
pues en implacable y feroz víbora,
a mis ruegos,
se ha transformado Delia.
Ella ya no recuerda
el lindo vellón de lana cándida,
que la hizo descender
de su órbita argéntea y lúcida,
graciosa y fúlgida,
a besar mis rudos labios.
Yo temo y dudo,
que de labios más agradables,
encantadores y dulces,
tome ella la miel de la delicia.
Mientras yo aquí, mísero,
entre amargos sollozos y quejas,
desahogo mi alma.

SILVANO
Que se exploren e investiguen
los amores que imaginas
a esa ingrata tuya;
y al amante que le ha robado
todo el júbilo a tu corazón,
en brazos de la pérfida
se le destroce y muera.

EL SÁTIRO
Por grutas umbrosas y gélidas,
por bosques ignotos y hórridos,
por montes yermos y altísimos,
yo, sagaz por naturaleza,
de tus dudas seré un espía incansable.

PAN
Amor, ayúdame,
socorro te pido,
haz que a mis brazos torne
mi gélida amada.
¡Hazlo, ah, te lo ruego!

SILVANO, EL SÁTIRO
Pan, consuélate,
que en un lecho
mórbido de flores
verás desvanecerse tu tristeza.
Pan, con los estremecimientos,
da muerte a los gemidos.

(Salen seis osos del bosque
 y ejecutan un baile)



ACTO SEGUNDO


Escena Primera

(Cima del monte Latmo)

ENDIMIÓN
Yermas y solitarias cimas
que me aproximáis al círculo
de luz de mi adorada,
Endimión, su admirador secreto,
imprime de nuevo su huella en vosotras.
Desde las variadas formas
de la estrella de plata,
con caricias y besos,
en estos lugares solitarios y horribles,
derramó su esplendor
sobre la tierra y las rocas.
Resplandeciente planeta,
que los rumores de Tesalia
no turben tus giros y tu paz.
Al franquear las cimas
de los montes Atlánticos,
que Febo detenga su carro ardiente.
Que mi astro naciente,
iluminando el cielo,
se muestre ante mí
más bello y resplandeciente.
Astro mío, bello y querido,
tus rayos de hielo
saben que pueden
inflamar el pecho del amante.
¿Qué sopor repentino
al dulce olvido me invita
en esta cima solitaria?
Sueño, cortés sueño,
si a tus caricias pronto me rindo,
¡ay! haz tú que, durmiendo,
amorosos fantasmas
hagan feliz mi alma desvelada.
Besadora besada,
regresa a mi seno, mi cruel diosa,
y, estrechando tus lazos,
haz que en un dulce engaño,
muerto en tal guisa,
yo viva largos años.

(Endimión cae en un profundo sueño)

Escena Segunda

DIANA
Cándidos corredores,
ciervos veloces,
a vuestro movimiento,
a vuestra carrera
sobre la cima del Liceo, poned freno.
Veo ascender hasta aquí
a mi pastorcillo.
Vengo aquí, a este solitario lugar,
para arder en mi fuego,
no para descubrir un amante.
¡Oh, Cintia afortunada!
Tu amado sol, el que buscas,
aquí duerme.
Admirable criatura,
tu ignota adoradora
ahora te podrá, feliz,
acariciar, contemplar,
y sin rubor, besar.
Mas, ¿qué hablas de besos,
oh casta Delia? ¡Ah, calla!
¡Ay de mí!
¿Por qué me causa amargura
este dulce pensamiento? Quiero besarlo.
¡Oh, hálito adorado!
Exhalan perfumes de Arabia
esos labios de rosa,
y un aura preciosa me envía,
cuanto más me acerco,
el premio del cinamomo.

ENDIMIÓN
¡Bella harto cruel,
no huirás más, no, de tu fiel!

DIANA
Sueña y me estrecha en su pecho.
¡Ah, ojalá no se despertase
y mi alma quedase
encadenada por siempre a su dilecto!

ENDIMIÓN
Rostro eterno, te beso, te gozo
y siento al besarte, diosa mía,
un dulce tormento.

DIANA
¡No puedo soltarme,
temo que se despierte!

ENDIMIÓN
¿Qué son estos prodigios?

DIANA
¡Ay de mí, se ha despertado!

ENDIMIÓN
¡Oh, dioses! ¿Es que aún duermo?
¿Aún abrazo las dulces ilusiones
en mi sueño concebidas?
Atormentador amor mío,
¿quién te rinde a mí, amoroso y pío?
Soy un sacrílego,
pues un espíritu celestial
estrecho y toco,
mas al gozar tanta gloria siento,
que antes de dejarle,
prefiero condenarme.

DIANA
Afloja este nudo, amor mío.

ENDIMIÓN
¿Mi qué?

DIANA
Ardoroso fuego.

ENDIMIÓN
¡Ay de mí, me mata tanta dulzura!

DIANA
¡Déjame, bello mío!
Y puesto que el sagaz Amor,
ha revelado a tu pecho
mi llama,
te confieso mi herida.

ENDIMIÓN
¡Ah, divina y bella Artemisa,
forman tus llamas la pira
donde se quema mi vida!
¡Muero por tu herida!

DIANA
¡Vive para nuestro amor!
Serena tu pena
redoblando los nacientes ardores.
¡Vive para nuestro amor!

ENDIMIÓN
Moribundo estaba y heme aquí sano.
Triste dolor, echa a volar,
huye de mí y vete lejos.
Moribundo estaba
y heme aquí sano.

DIANA
Debo partir. ¡Adiós!

ENDIMIÓN
¿Me dejas? Vuelvo al llanto.

DIANA
Así lo pide mi decoro.

ENDIMIÓN
¡Vuelve, oh martirio mío!

DIANA
Breve será la ausencia.
Enjuga tus lágrimas, ¡oh esperanza mía!

ENDIMIÓN
¿Cuándo te volveré a ver?

DIANA
Pronto, mi bien.
Quédate alegre, así lo deseo.

ENDIMIÓN
Contigo va mi alma.

DIANA
¡Mi sol, adiós!

ENDIMIÓN
¡Corazón mío!

DIANA, ENDIMIÓN
¡Adiós!

Escena Tercera

EL JOVEN SÁTIRO
Al fin la rígida,
la emperadora y sátrapa
de las vírgenes,
está, como las demás féminas,
sometida a sus debilidades.
Ellas siempre se aferran
a lo malo, a lo peor, a lo pésimo.
Repudia a un dios
tan noble como Pan,
y se arroja en brazos de un rústico.
Si no lo hubiera visto
con mis propios ojos,
no lo habría creído.
Quiero avisar al lánguido,
esto le traerá remedio.
Quien cree a fémina,
en el agua siembra.
Brotará de un roble viejo
una rama tierna,
antes de que se conmueva
su corazón inconstante.
Quien cree a fémina,
que siempre es inestable,
en el agua siembra.

Escena Cuarta

(Llanura del Erimanto)

JUNO
Incesantemente lacerada,
atormentada por mis celos,
a este suelo hago bajar
a mis nobles pájaros,
convertidos en compañeros
errantes de mi furor.
Nuevos estupros he oído susurrar.
Tras abandonar la corte celeste,
ignoto aquí mora mi consorte
bajo un disfraz extraño e indecente.
Para engañar muchachas bellas,
este nuevo Proteo
siempre toma formas nuevas.
Pronto llegará el día
en que mi gran Júpiter se atreva
a llevarme a sus amantes a las estrellas.

Escena Quinta

CALISTO
¡Manad ya,
manad fuentes dolorosas,
ojos míos lacrimosos,
el flujo que desde el corazón
asciende a vosotros!
Desapareció como un relámpago
mi felicidad;
murió el placer que gozó,
de la diosa pía, el alma mía.
Mientras viva, lloraré.

JUNO
¿Qué son esas lágrimas?
¡Oh, bella cazadora!

CALISTO
Lloro mi suerte ingrata.

JUNO
Cuéntame tus penas funestas,
que yo puedo,
como mujer del gran creador,
sanarte cualquier dolor.

CALISTO
¡Oh, reina del cielo, excusa a la irreverente!
No he reconocido tu divinidad
con esas ropas terrenales.
Cintia, a quien sigo y honro,
me expulsa de su corte.

JUNO
¿Y la razón?

CALISTO
Me condujo a una gruta deliciosa
y allí me cubrió de besos,
como si fuese su amado, su esposo.
Mis labios besaron
los suyos con ganas,
estrechada por sus brazos,
mas ahora ella me niega sus besos
y me rechaza.

JUNO
Apenas toco la Tierra
y ya temo haber encontrado
la nueva amada de mi adúltero.
¿Y algo más que besos, di,
intercambiasteis
la diosa y tú?

CALISTO
Un cierto placer que...
que no te sabría decir.

JUNO
¡Basta! El aspecto de su hija,
usado fraudulentamente,
tomó mi buen consorte
para saciar su pérfido apetito.
¡Menudo marido!

CALISTO
¡Ay, que jamás descienda
tu Júpiter del cielo
para engañar
a las vírgenes inocentes!
Calma, clemente, a la altiva Diana,
líbrame de su ira y haz que, aplacada,
vuelva a mí sus ojos serenos.
¡Por ahí oportuna llega!

JUNO
Cierta estoy del engaño:
es Júpiter con ese aspecto.
A Mercurio reconozco,
su astuto mensajero,
su ladrón sagaz,
el artesano de mi desgracia,
cuya boca siempre guarda veneno para mí.

Escena Sexta

JÚPITER
(como Diana, a Mercurio)
No puedo expresarte
el placer que he gozado.
Tal placer, en las esferas,
rodeado de toda mi gloria,
no lo disfruto, ni lo pruebo.
Yo, que rijo el movimiento de los astros
y que sostengo el mundo,
con deleite jovial,
aunque siempre incansable,
con mis criaturas me recreo.

MERCURIO
No debiste ¡oh, hacedor soberano!
puesto que tanto disfrutas
cambiando de aspecto,
dotar de independencia
al arbitrio humano.
Si estuviese sometido a ti
quien vive en libertad,
sin tanta mudanza y engaños
de semblante y ropas
gozarías de todas las beldades.

JUNO
¡Oh, consejo prudente!
No se puede ser más descreído.

CALISTO
(A Juno)
Gran reina, antes de que emplees tu bondad
en súplicas y ruegos por mí,
quisiera comprobar
si mi diosa aún tiene el corazón de piedra.

JUNO
La encontrarás calmada,
ve con tu dilecta.

JÚPITER
(como Diana)
¡Calisto, alma mía!

JUNO
¡Oh tormento, oh celos!

CALISTO
¡Mi consuelo, mi vida!

JÚPITER
(como Diana)
¡Mi dulzura infinita!

CALISTO
Mi reposo.

JÚPITER
(como Diana)
Mi martirio.

CALISTO
Mi suspiro.

JÚPITER
(como Diana)
Mi respiro.

CALISTO
Mi deseo.

JÚPITER
(como Diana)
¿Adónde vas?

CALISTO
Contigo, bien mío.

MERCURIO
Dulces palabritas
de una lasciva melodía.

JUNO
¡Oh tormento, oh celos!

JÚPITER
(como Diana)
Donde brotan
las aguas cristalinas del Ladón
ve, cara mía,
y de nuevo prepara
la boca para rivalizar con mis corales;
pronto iré contigo.

CALISTO
Mas, ¿quién es ése
que te sigue los pasos?

JÚPITER
(como Diana)
Es el mensajero de mi buen padre.

CALISTO
Él quería, con su elocuencia,
entregarme a Júpiter,
mas, desoyendo
sus seductoras invitaciones,
dejé a ambos burlados.
Excelsa emperadora,
no te he preguntado la razón
de tu cólera tempestuosa.
La indignación de mi diosa
ha desparecido
y, llena de reconocimiento,
el contento me inunda.

JUNO
Haré que bien presto
tu alegría sea funesta.

Escena Séptima

JÚPITER
(como Diana)
De esta belleza, Cilenio mío,
anhelo dulzuras nuevas.

MERCURIO
¡Juno, oh Júpiter!

JUNO
¡Mercurio!
¿Dónde has dejado a mi marido?
Bajó contigo a consolar la Tierra.

MERCURIO
Cumplida la restauración
de la doliente madre encendida,
retornó a las alturas del Olimpo.

JUNO
De allí vengo y no lo vi.
Quizá te haya engañado y,
desviándose de su camino,
en la selva encelado
de amor fraudulento
querrá engañar a las inocentes ninfas.

JÚPITER
(como Diana)
Parece que tiene noticias
de mi dulce suerte
la celosa consorte.

MERCURIO
Una maligna y gélida sospecha,
siempre te tiraniza el pecho.

JUNO
Poca credibilidad concede
mi experiencia al dios del embuste.
Mas tú, virgen y matrona celestial,
¿qué haces aquí
entre ladrones y rufianes?
Veo un acoplamiento extraño
de la honestidad con la lascivia.
¿Y qué quieres, Trivia,
que se diga de ti?:
¿que te ha corrompido la retórica
culpable de una lengua docta?
¡Que tu castidad lo eche de aquí!

JÚPITER
(como Diana)
No puede, mancha o suciedad,
volver negra mi fama
y hacerla impura.
Sin empañar mi honrada fama,
puedo pasar horas con Venus y Amor.

JUNO
¡Y besar a las doncellas!

MERCURIO
(para sí)
¡Está descubierto el fraude
y su autor!

JÚPITER
(como Diana)
No se niega el beso al casto labio.
La boca pura y púdica,
puede besar sin reproches
a la pastorcilla amiga.

JUNO
Sí, mas no es lícito
llevar a las grutas a las jovencitas
y hacerlas probar un cierto y dulce no sé qué,
como lo has hecho tú.

MERCURIO
(para sí)
¡Se lo advertí!

JÚPITER
(como Diana)
Juno, ¿qué pretende
tu lengua deshonesta?
Expresa, más modesta,
conceptos dignos de mis oídos
o esta selva,
donde sólo resuena el eco de voces castas,
abandona,.

JUNO
No te alteres, no,
triforme lasciva,
conozco tu hechizos.
Yo pensaba que Júpiter,
bajo falsa apariencia
y olvidando el firmamento,
erraba por la selva
con fines lujuriosos.
Mas, parece que se ha contenido
y ya no sigue ni aprecia la caduca belleza.
Su buen mensajero
afirma haberlo visto
y atestigua que volaba
al trono del sublime imperio.
Bien, te dejo,
no quiero importunarte más.
Que dentro de las grutas,
un néctar más dulce,
¡Amor te derrame!

Escena Octava

JÚPITER
(como Diana)
¿Quién la ha traído desde el cielo
a investigar mis gustos?

MERCURIO
Los celos,
que ven con cientos de ojos,
y que ágiles como el viento
penetran lo oculto viéndolo todo.

JÚPITER
(como Diana)
Ulule, tiemble o chille,
cual fiera enfurecida
ante las amorosas cuitas.
Mi celosa esposa
no conseguirá que deje mis placeres.

MERCURIO, JÚPITER
Está condenado el marido
que se deje gobernar por su mujer.
Con lo que nos place
se encienda la antorcha
de nuestro apetito.
Y luego, que el rigor
acalle el rumor.
Está condenado el marido
que se deje gobernar por su mujer.

Escena Novena

ENDIMIÓN
Corazón mío, ¿qué quieres?
¿Qué esperas, qué anhelas,
qué más buscas?
Más feliz que tú,
que al Cielo besaste,
no hay nadie en la Tierra.
Corazón mío, más feliz que tú,
que al Cielo besaste,
no hay nadie en la Tierra.

JÚPITER
(como Diana)
Mercurio, ¿quién desfoga ahí,
en amorosos cantos, su oculto ardor?

MERCURIO
El ornamento, el honor
de los bosques de la Arcadia.
Es un pastor que no busca
apacentar su rebaño y que,
con loable encomio quiere
que el ingenio sude contemplando
los astros luminosos del cielo.

ENDIMIÓN
¡Oh, espléndida diosa mía,
felicidad del alma,
mi fortuna, mi calma!
Desciendo de mi feliz Liceo,
donde, merced a ti, dejé la pena,
¿y enseguida te encuentro?
Mi corazón amante te agradece y bendice.
Mas, ¿quién está con ella?
¡Ay de mí, cruel tormento
nacido de los celos siento en el pecho!

JÚPITER
(como Diana)
Cintia se hace la casta,
pero incluso hasta ella tiene amantes secretos.

MERCURIO
Señor, depón ese falso semblante
y el disfraz mentiroso,
pues creo que en vez de amantes
encontrarás un marido.

Escena Décima

EL JOVEN SÁTIRO
Si no lo crees, mírala de nuevo
reunida con tu rival.
Ese rústico del que te hablé
es el amante de Trigémina.

PAN
¡Malvado, serás presa
de mis fuertes músculos!
Ni las Euménides escaparían
del doloroso lagarto que por tu culpa
pulula en mi pecho.

ENDIMIÓN
¡Déjame!¿En qué te ofendí?
¿Qué injuria te he hecho,
oh dios semi-cabra?

JÚPITER
(como Diana)
¿Qué furia agita a Pan?

PAN
¡Aquí está tu amado, oh pérfida!
Encadenado lo ha puesto
mi afortunado hado ante tus ojos
que aborrecen la imagen monstruosa
que han formado de mí.
Ese odio que se refleja
en tus mejillas cándidas,
no es más que la memoria
de los besos suavísimos
que mis labios te dieron.
¿Por qué me desprecias ahora
y me huyes inconstante y contraria?
¡Ay! ¿Qué rabia origina
tu amor voluble?
Éste que se deshace en llanto
es la causa de mi mal;
mas quiero hacer con él
un espectáculo funesto y miserable
ante tus ojos que,
convertidos en rayos para mí,
me matan.

MERCURIO
De estas intrigas salgamos.
¡Partamos, Júpiter!

JÚPITER
(como Diana)
Sátiro molesto...
Mata pues, verdugo, cuanto gustes;
jamás sanarás de tu acervo dolor.

ENDIMIÓN
¿Adónde vas, diosa? ¡Ayuda!
¿Partió? ¡Pierdo la vida!

Escena Undécima

PAN, SILVANO
¡Detente, oh agitado cual torbellino!
¿Así pues,
dejas tu alma
al arbitrio del corazón furioso?
Véngate feroz
de la acerba injuria
que lacera de dolor tu pecho;
extermínala, mátala,
atormentando a otro.
Que tu deseo de venganza
quede saciado.

ENDIMIÓN
¡Oh, dios! ¿Así abandonas
en el umbral de la muerte
a tu fiel amante?
¡Oh, dios! ¿Así, cruel,
me dejas agonizante?
Mira al menos mi muerte,
¡oh, cruel amante!

PAN, SILVANO, SÁTIRO
Miserable,
¿has creído a esa fémina inestable?
Variable y detestable
es su fidelidad.
Miserable,
¿has creído a esa fémina inestable?

ENDIMIÓN
Amor, si no me escucha esa despiadada
hasta aquí abre tus alas
y defiéndanme tus flechas.

PAN, SILVANO Y SÁTIRO
Miserable,
¿así que confías
en un dios mutable?
El arquero vagabundo
es un inepto y no te oye.
Miserable,
¿así que confías
en un dios mutable?

ENDIMIÓN
Matad, entonces a un pobre
al que ha desamparado su esperanza.
Que la muerte lleve al martirio
a un afligido.

PAN
Puesto que morir deseas,
quiero que te transformes
en un eterno quejumbroso,
privado de libertad.

ENDIMIÓN
¡Oh dioses, qué crueldad!

PAN, SILVANO, ENDIMIÓN
Locos que creéis en el amor:
es un relámpago que desaparece,
sus dulzuras se tornan hiel
y sus placeres jamás se ven.
Locos que creéis en el amor.



ACTO TERCERO


Escena Primera

(La fuente del Ladón)

CALISTO
Permanezcan siempre
en mi memoria
las delicias pasadas.
Fuentes límpidas y puras,
a vuestro gorgoteo,
mi diosa y yo,
pareja dilecta y cara,
nos besaremos con ganas
y cantaremos melodías dulces,
aquí, donde con otras voces,
el eco responde,
uniendo el sonido de los besos
al sonido de las olas.
Te espero y no vienes,
perezoso y lento contento mío.
Turbas mi tranquilidad,
alma, bien, esperanza,
muero con tu tardanza.
Te espero y no vienes,
luminosa, negligente;
cual espina el corazón me punzas.
¡Ay, ven y reconfórtame,
pues muero con la demora!

Escena Segunda

JUNO
Los celos os conducen
desde las riberas tártaras hasta aquí,
hechas unas furias,
tristes hermanas.
¡Las antorchas del Aqueronte
y las serpientes, preparad!
Mi dolor quiero medicar
con veneno y rigor.

LAS FURIAS
Impón, dispón de nuestros venenos.
Impera severa sobre el fuego y las llamas.
Tormento no lento a la contumaz,
pondremos, daremos,
hasta que se haya aplacado
y desaparecido tu furiosa rabia.

CALISTO
Se me hiela la sangre.
¿Qué horrores veo?
Mis ojos ¡ay de mí!
no los pueden sufrir.
Totalmente aterrorizada,
a otro lugar me encamino.

JUNO
Puta descarada y culpable,
¿acaso crees que podrás rehuir
el castigo supremo e inolvidable
de tu adulterio sucio y nefando?

(Convierte a Calisto en osa)

Y ahora que te meta
en mi cama Júpiter,
y que en sus nuevas lujurias
de tu sordidez obtenga sus dulzuras.
A los bestiales sonidos
que emitirá tu boca obscena,
los suspiros acompañen,
y que sus labios impuros
que generaron el mundo,
besen el inmundo rostro de su fiera.
Errarás por las selvas y montes
acompañada de osos,
y siempre irá contigo,
por bosques y cavernas,
mi indignación rabiosa y ciega.
He aquí, hermanas infernales,
a la que debéis atormentar;
os la encomiendo:
¡andad y acosadla
por colinas y forestas!

LAS FURIAS
Que miles de chispas
de nuestro Aqueronte,
ardientes e hirvientes,
quemen a la fiera.
Que todas las sierpes
apaguen la sed en su sangre.
¡Ataquemos a la horrenda
que ofendió a Juno!
Endignada y celosa,
la diosa nos lo impone.

Escena Tercera

JUNO
Consolada y satisfecha
torna al éter, Juno.
Castigando a la amada
de tu desleal tonante,
has fundido el hielo
de tu sufrimiento.
Ya no te será tormentoso el cielo.
De tal guisa se deben punir
las amargas ofensas
del lecho marital.
Así deberían castigar, si pudiesen,
las mujeres a sus maridos,
que, saciados de ellas,
siempre avivan en su pecho
nuevos apetitos.
Mujeres mías desconsoladas,
nosotras siempre somos las ofendidas
y tenemos la culpa.
Abandonadas sin consuelo,
morimos a menudo de sed
en medio del río.
Por la noche, en la cama,
fatigados tras su gusto,
los maridos culpables,
están siempre
soñolientos o resentidos.

Escena Cuarta

LINFEA
Estoy resuelta
a tener un consorte:
¡quiero ser gozada!
No quiero permanecer estéril
durante el dulce florecer
de los años risueños.
Los dulces placeres
que el hombre sabe dar,
yo también los quiero probar.
Estoy resuelta
a tener un consorte:
¡quiero ser gozada!

SATIRINO
Empieza a enloquecer
la rígida desdeñosa.
Voy a castigar su injuria
con una dulce venganza.

LINFEA
Amor, te ruego
que me encuentres un marido
hermoso y agradecido.

SATIRINO
¡Acudid, amigos sátiros,
prendedme a esta fiera!

LINFEA
¡Compañeras, socorredme!

Escena Quinta

JÚPITER
Bella mía suspirada,
inocentilla engañada
por los ardides amorosos
de este dios supremo
que rige el mundo,
de lo más íntimo y profundo
de tu blanco seno,
desecha el terror,
que fiero, te asusta el alma.
Dentro del corazón
te infunde su gloria tu creador.

CALISTO
¡Oh, rey del universo,
me siento renacer
ante tus divinos acentos!
Ya no siento la rabia
de las venenosas sierpes;
ya se ha extinguido el incendio
de las llamas ardientes.
Renazco y formo acentos y palabras.
Ya de nuevo humana,
veo en sus figuras primitivas al cielo y al sol.

JÚPITER
Cuando terminen, en pocos años,
su veloz curso entre las esferas,
te sentarás sobre tronos eternos
vestida de zafiros
y con diadema de estrellas.
Junto con nuestra prole serás divinizada
para deshonra de Juno.
Enriquecerás el firmamento,
y junto al dulce concierto
de la celeste armonía, la ambrosía beberás,
y hecha inmortal,
vivirás eternamente conmigo.

CALISTO
Heme aquí, sierva tuya.
Dispón a tu gusto,
monarca de las esferas,
de la que creaste,
de la que felizmente engañada,
¡oh, mi gran hado!,
te dignaste acoger en tu seno beato.

JÚPITER
Ni siquiera Júpiter puede discutir
los grandes decretos del Destino.
Conviene que retornes
al aspecto ferino,
y por las tierras patrias
sigas errando como osa
hasta que desaparezca
el malvado maleficio
que está registrado
en los volúmenes eternos.
Pero antes que el manto hirsuto
cubra tu cuerpo
¡oh, dulzura mía!
la inmortal belleza del Empíreo,
que te albergará hecha diosa,
te quiero mostrar.

CALISTO
La humanidad,
creada tan caduca y frágil,
no te merece ¡oh, dios supremo!
aunque tu bondad acostumbre
a ennoblecer los actos humanos.

JÚPITER
¡Al cielo ascendamos!

CALISTO
¡Al cielo vayamos!

JÚPITER, CALISTO
¡Éste es el camino
de la inmortalidad!

JÚPITER
Mi fuego fatal,
soy Júpiter y sufro...

CALISTO
Dichosa me siento
siendo ascendida...

JÚPITER
...por ti, traicionada mía.

CALISTO
... merced a mi dios.

CALISTO, JÚPITER
¡Oh, dulce amor mío!

MERCURIO
Ante esta pasión,
dispare y relampaguee
con redoblado esplendor
el arquero de Delos.

CALISTO, JÚPITER, MERCURIO
¡Al cielo, al cielo!

Escena Sexta

ENDIMIÓN
¿Queréis que no la ame?
No puedo, no.
Quiero morir.
¡Matadme!

SILVANO
¡Necio, más que necio!
Puedes ser libre con renunciar tu amor,
a tu ídolo, que no se preocupa de ti.
¿Quieres morir
antes que repudiarla?

PAN
Se lleva el viento como polvo los juramentos,
pero los vínculos del amor
no se deshacen tan fácilmente.
Entonces, ¿cómo creer en un "sí"
de este reo que vive encadenado?

ENDIMIÓN
¿Deseáis que no la ame?
No puedo, no.
Antes quiero morir.
¡Desangradme!

PAN, SILVANO
Que atado a un arce,
se le muela a palos.
Y que luego venga aquí
la mísera Delia
para hacer las exequias
y cantar su réquiem.

Escena Séptima

DIANA
¡Dioses viles y plebeyos,
que en las grutas aprendisteis
de las fieras a ser malvados!

ENDIMIÓN
¡Soy feliz! Aquí llega
mi resplandeciente diosa.

DIANA
¡Dejad al inocente,
si a mis flecha punzantes
no queréis irritar!

PAN
¡Oh, cruel Trivia!
¿Por qué ante mi gemir
se endurece tu pecho?
¿Por qué ante mi llanto
tu corazón se petrifica?
¿Por qué, voluble,
desdeñas a este noble símbolo del mundo,
que, lisonjera, besaste un día?

SILVANO, PAN
Torna amorosa,
bella Trigémina,
y siembra alegría
en el seno del lánguido,
a quien hiciste
promesas tan volubles.
Torna amorosa.

DIANA
¡Mentís, semi-bestias,
y urdís y fabricáis
calumnias descaradas!
No amó Cintia, y si ama,
ama el carácter agudo
y la virtud de este noble pastor,
que extiende el vuelo
de su intelecto allende los polos.
¡Partid, os digo,
dioses villanos,
y desfogad los deshonestos ardores
del corazón con vuestros semejantes!

SILVANO
Pan, pierde el tiempo
quien busca miel en un áspid.
Partamos y dejemos
con su astrónomo a esta orgullosa,
y gritemos en venganza
la mordaz injuria:
"¡Cintia, la casta diosa,
es toda lujuria!".

SILVANO, PAN
¡Cintia, la casta diosa,
es toda lujuria!

Escena Octava

DIANA
¡Que os alcance esta flecha,
pareja sucia y deforme!
Seguiría sus pasos,
asaeteadora fiera,
la vengadora arquera,
pero no quiero dejar solo
entre estos horrores selváticos,
a quien me da luz a rayos.

ENDIMIÓN
Vivo por ti, piadosa,
expiro por ti, clemente,
alegría mía luminosa,
pena mía resplandeciente.
Antes que renegar de ti,
¡morir, morir querría martirizado,
oh diosa!

DIANA
¿Tanto me amas?
¿Quién me lo atestará?

ENDIMIÓN
El corazón que contigo está
y que con el alma conjurado
hacia tu pecho voló.
Vivo sin alma y no tengo corazón.

DIANA
Lisonjero amoroso,
mi deidad no puede probar
contento mayor
que el de sentir
tus dulces palabras:
llamarme alma y corazón.
Quiero que abandones
estos bosques y montes pelágicos,
para huir del rigor
de los dioses de la selva
y de los pastores.
Celosa de tu bien,
quiero conducirte a las arenas jónicas.
Allí, en el excelso Lamos,
su cima custodiará
el secreto de nuestro ardor.
Tú, modesto, y yo, casta,
allí nos besaremos.

ENDIMIÓN
El beso le basta al amante honesto.
Sólo el beso deseo,
no quiero el resto.
Soy señor de mis sentidos,
y el fuego vil no me enciende el corazón.

DIANA, ENDIMIÓN
Dulcísimos besos, sois un néctar
que siempre acrecentáis
el fuego del amor.
Dulcísimos besos, sois un néctar
que siempre acrecentáis
el fuego del amor.
El beso que muere,
al beso que da vida:
la alegría es infinita.
¿Qué nos retrasa y demora?
El labio, hacedor de tanta dulzura,
vamos a besar,
corazón mío, bien mío, dulzura mía.

Escena Novena

(El empíreo)

ESPÍRITUS CELESTIALES
¡Las estrellas más bellas
centelleen y brillen!
El sumo creador prepara al cielo
para un nuevo esplendor.
A Júpiter, querida,
aquí arriba gozarás vestida de rayos.
¡Las estrellas más bellas
centelleen y brillen!

CALISTO
Mi alma sucumbe
ante esta gloria que me rodea.
Yo, peregrina terrenal,
perdida ya la noción
de la patria divina,
estoy presa de la materia en este lugar.
¡Oh esplendor, oh belleza!
¡Oh pompa, oh visión!

JÚPITER
Estos albergues estelares serán tu nido.
Y, muerta incluso la muerte,
disuelto el armazón del mundo,
extinto el sol, que rubio,
la tierra dora y acarrea el día,
en esta alta morada,
hecha con temple puro e incorruptible,
conmigo, bella, vivirás los años sempiternos.

CALISTO
Alma, ¿ves
qué estancia rara te prepara,
como premio de amor,
tu creador?
Alegría,
tengo lleno el pecho
de deleite,
y de ti ya no cabe más
en mi corazón.

CORO
El cielo ría
ante el contento
de la que es fiel
al gran dios de los elementos.
Espíritus divinos,
¡redoblemos ahora
nuestras melodías y armonías!

JÚPITER
Arquera mía, desciende,
y en tu doble cárcel terrena
donde se endulzarán tus penas,
espera hasta ser conducida,
en breve, aquí arriba.
Ve, Mercurio, con ella,
y como defensor
ignoto al ojo humano,
por la cuesta y por el llano,
sigue a la osa bella
destinada a ser estrella.

MERCURIO
De obedecerte nunca me canso;
la asistiré, como dios tutelar, al flanco.

CALISTO
¡Mi tonante!

JÚPITER
¡Dulce amante!

CALISTO
Alegre...

JÚPITER
Triste...

CALISTO
...parto.

JÚPITER
... quedo.

MERCURIO
Presto el hado os unirá.

CALISTO
¡Me voy, oh Júpiter!

JÚPITER
¡Oh bella, ve!



Traducido y Digitalizado por:
Andrés Turrado 2012